In fuga dalla bocciofila

Birdman | Odeon Bistrò

Prima, quando si guardavano i film doppiati, era tutto un:

«I film doppiati? Non si possono vedere! È una cosa contro natura, senti che voce gli hanno messo, poi ti rendi conto l’assurdità, come se uno che abita in Colorado parlasse in italiano, ma che c’entra? E ancora più patetici quando vanno a inserire differenti dialetti italiani per restituire inglesi di differenti nazionalità e provenienze. Ci hanno fatto credere che in tutto il mondo parlassero l’italiano, in un certo senso è il sogno di Mussolini dell’impero, l’istituto Luce, che ancora vive. La verità è che c’è una lobby segreta dei doppiatori che ha in mano la nostra vita, controlla l’uscita dei film in questo nostro minuscolo paese alla deriva, questa è la verità, e in definitiva i doppiatori di film saranno anche bravi, e quelli italiani i migliori del mondo, come dicono, ma secondo me, quando stanno nei loro studi di registrazioni al buio e doppiano, lo sanno anche da soli che è tutto inutile, una battaglia persa, che non c’è futuro nel mondo del doppiaggio. E sono disperati».

Ora, che invece guardiamo solo ed esclusivamente film sottotitolati, è tutto un:

«Certo che i sottotitoli scritti in giallo non si potevano vedere. Che poi, a essere sinceri, questi sottotitoli li ho trovati lievemente imprecisi, non ti pare? La non corrispondenza tra il parlato originale e quello che ogni tanto -raramente- scorgevo sotto, quando ogni tanto buttavo un occhio sotto, ecco, mi creava un disagio. A te non creavano disagio quelle inesattezze?»

Stravaccati all’Odeon Bistrò. La persona che ho di fronte muove le mani ad accompagnare la frase, e nel fare così urta il suo French Connection che tiene davanti. Osservo le gocce di quello che non sembra essere una soluzione di amaretto e cognac ma piuttosto di amaretto e whiskey così che improvvisamente mi rendo conto con autentico terrore che non si tratta del cocktail che credevo ma di una sua variante che prende il nome di Godfather. Lo scopro guardando sul telefono senza farmi notare. La mia espressione, un occhio lievemente socchiuso, l’altro ben aperto e un sopracciglio verso l’alto e uno verso il basso a formare una svastica. La mia replica, qualcosa che non c’entra niente, come se non avessi sentito una sola parola di quel discorso:

«Sì, il film mi ha fatto pensare a una sorta di ossessione da Synecdoche, di una sfida al vertice, con Kaufmann, io poi francamente non so se questa sfida Iñárritu (pronunciando la gn alla spagnola) l’abbia vinta, ma nel dubbio, ti direi di no. E dimmi, com’è il tuo Godfather? Sembra ottimo».

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Hungry hearts | Tu non hai fame?

Il salumiere di via Romana termina di arrotare il coltello con estrema lentezza, benché ci siano già quattro o cinque clienti che attendono e rumoreggiano. Cosa farebbero questi, se solo al di là del banco ci fosse un impiegato delle poste e non un uomo con un coltello?

«Prossimo», urla il salumiere, ma nessuno prende la parola. «Novantasei, diobono» puntualizza ancora l’uomo, accalorandosi subito nel volto.

«Eccomi, sono io», dice una ragazza con i capelli ricci.

«Via signorina, acceleriamo le operazioni».

«Vorrei del prosciutto».

«Non ci siamo signorina, mi deve dire qualcosa in più. Come lo vuole: crudo, cotto, stagionato, casalingo, salato? Mi dica, mi dica».

«Sa, io non me ne intendo, sono vegetariana».

«Ah, benissimo, la signorina qui è vegetariana. E che se ne fa del prosciutto, mi dica, ci concima l’orto?».

«No, vede, è che stasera con il mio compagno prepariamo delle crêpes».

«Ah, poteva dirlo subito bella signorina. Allora le ci vuole il cotto, ecco quello che le ci vuole. Quanto gliene affetto?».

«Tre etti».

«Benissimo signorina, così mi piace, bella decisa».

Il salumiere affetta con estrema lentezza, come un maestro di cerimonie, come un massone abbraccerebbe un confratello, come un muratore un pontaio. Fette sottili come fogli di carta velina, carta da origami.

«Ecco qua, tre etti e mezzo, lascio?».

«Lasci, lasci».

«Sa una cosa signorina bella? Le farò una confidenza: nella nostra famiglia siamo tutti vegetariani, non ci crederà, ma è così. Lo siamo diventati. Prima ne mangiavamo parecchio di prosciutto come questo, sa? Poi la bambina, aveva sette anni, le son cominciate a spuntare le tette. A otto anni le è comparso un terzo capezzolo. Così sono andato da un naturopata, questi mezzi dottori fricchettoni, che mi ha detto: O la fate finita di dar tutto quel prosciutto alla bambina o sarà costretto ad abbatterla. Così mi disse».

«Ah».

«Prego signorina. Desidera altro? C’ho della finocchiona che è speciale».

«No, grazie, sono a posto».

«Il prossimo allora, a chi stiamo? Novantasette. Forza signori, non siamo mica alle poste qui».

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Barry Lyndon | Bombe allo Yab

Mentre contavo mentalmente quante volte nel film si ripeteva la parola “proper”, adeguato, corretto (sono tredici volte) mi rendevo conto con la chiarezza delle scoperte negative che i bassi che sentivo di sottofondo non erano parte del film. C’era stato un momento in cui io non lo sapevo se fossero rumori del film, se fosse una cosa voluta, ma poi dopo un po’ avevo cominciato a sperare che fossero del film. Bruttissimo segno. Invece era soltanto la discoteca del cazzo YAB, ubicata giusto a lato al mio cinema preferito numero due. Erano i bassi del cazzo della discoteca demmerda dello Yab, del loro lunedì sera discotecaro. Possibile, mi chiedevo, che ci fosse gente che facesse serata non dico di mercoledì, ma di lunedì? Gente che proprio mentre io sentivo suonare Schubert stava bevendo un gin tonic? Sì.

Ho perso il mio lato zen: un tempo ero pacificato, è il lavoro che mi ha indurito, e penso il male di chi mi fa male, un tempo cercavo di evitarlo. Guardavo la parabola discendente di Redmond Barry e pensavo solo a ordigni, a costruzioni piriche posizionate davanti all’ingresso della discoteca, un semplice avvertimento. Poi, dopo l’inutile cordata di solidarietà da parte della società civile connivente, l’enorme esplosione. Il massacro. In cui perdeva la vita anche il mio vicino di pianerottolo, noto frequentatore del suddetto luogo, che di solito ritorna a casa urlante verso le quattro, in quello che ormai è a tutti gli effetti il martedì mattina.

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Nymphomaniac (Parte Uno) | Scandaloso veramente

Si sarebbe potuto intitolare Aerophagy, o Tympanites (meteorism) e sarebbe cambiato niente: la storia di una ragazza che soffre di accumulo di gas intestinale. Il riferimento culturale con cui si sarebbe aperto il film sarebbe stata la frase di Dante: Ed elli avea del cul fatto trombetta. Chiaramente in bianco su sfondo nero, dopo un minuto abbondante di buio assoluto e nessun suono. Perché adesso siamo nella mani di Lars. Brrr, sai che paura.

Poi come dicevo quella scritta dantesca e il rumore prolungato di una pernacchia o quella che avremmo potuto scambiare per una pernacchia, ma che era ovviamente altro. Cha scandalo!

Il film di Lars Von Trier si apre invece con una frase che ci spiega come l’avrebbero ancora una volta censurato, che quella è solo una versioncina corrotta del suo capolavoro, che lui un pomeriggio che era impegnato a fare altre cose ha deciso magnanime di approvare, ma che non la riconosce come opera sua. Ora, delle due l’una, pensavo io, che finalmente potevo dire quella frase che sento dire da anni e non so mai come usare.

Poi appunto si installava in me quel pensiero dell’aerofagia al posto della ninfomania e il film mi scorreva in parallelo, fino all’uscita e i relativi commenti entusiastici.

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L’amore bugiardo – Gone girl | Livelli

Lui aspira una sigaretta di marca mai vista, e espira una nuvola di fumo sopra la testa di lei. Lei chi? Un’argentina, capitata là chissà come, amica di un’amica. «No», dice lui, «il film non mi interessava. Si parlava di media, capisci, di come certi programmi televisivi deformino le realtà, creino delle narrazioni, capisci: è qualcosa che a me non interessa». Aspira e espira ancora una boccata, lei è pronta a ricevere la nuvola di fumo dritta in faccia, ma ancora una volta, lui la risputa sopra di lei. «Sì, capisci, quando una persona vive lontano da certe dinamiche, vive ad altre latitudini, questo argomento passa naturalmente in secondo piano. Capisci bellina, la vita a volte si guarda, a volte si vive. E comunque ultimamente riesco a vedere solo film francesi».

Krzysztof tamburella sul bracciolo in condivisione con la moglie, seduta accanto.
«Che c’è?»
«C’è che questo l’ho già fatto io»
«Ma di che parli?», dice Maria.
«Questo Gone Girl, a parte il titolo che suona un po’ cacofonico, l’ho già fatto io e si chiamava Film Bianco»
«Ma che dici caro, stai disturbando tutti, fai piano»
«Sì, l’ho fatto già io e l’ho fatto meglio. Si parlava di rapporti, di matrimoni che finiscono, di perdita del desiderio, della ricerca del desiderio perduto, dell’amore. Lo dicevo già io vent’anni fa e lo dicevo meglio, maledetto Fincher».

«Sai che penso? Penso che non mi convince, non dico il primo livello di lettura, né il secondo livello del matrimonio come messa in scena, come teatrino che poi si finisce per accettare. Mi è piaciuto, ma non mi ha stregato. Come con The Social Network, io una volta uscito dal cinema non ho cancellato il mio profilo Facebook, semmai ho guardato se c’erano notifiche».
«E questo che vorrebbe dire?»
«Vuol dire che Fincher fallisce. Che il film contro il rapporto di coppia non arriva al suo scopo.
Se Fincher voleva farci lasciare a me e Diana non c’è riuscito, a lei è venuto solo un suo attacco di tosse nervosa, ma insomma poi è tornata a sedersi nel cinema accanto a me. Già, poi è tornata a sedersi accanto a me».
«Beh, ma scusa, ma se Diana torna a sedersi accanto a te e la protagonista torna da lui, beh, allora direi che il film ne esce rafforzato. E se, scusami se insisto, se uscito daSocial Network tu vai a guardare gli aggiornamenti di stato, beh, anche in questo caso l’ha avuta vinta lui, mica te».
«L’hai rigirata bene la faccenda, proprio come ti faceva comodo».

«Ecco come la vedo io cari miei: che i media dicono il vero, che Barbara d’Urso ha totalmente, totalmente, ragione, e lo dimostro: quando verso la fine Ben dice a Barbara D’urso: “Ti rendi conto che stronza sei? Mi hai perfino accusato di trombarmi la gemella, solo perché suonava bene il titolo: I gemelli incestuosi, ma ti rendi conto?”. Ebbene in verità il film conferma che anche questo sarebbe vero, con le lacrime della sorella gemella, quando il fratello Ben Affleck sceglie di rimanere con la moglie…»
«Che cavolo stai dicendo?»
«Dico che i media presentano Amy solo apparentemente come una vittima: la tipa dell’albergo che la deruba l’ha capito eccome che lei una stronza. E non l’ha capito perché ha la verità infusa, l’ha capito guardando la televisione».
«Embé?»
«I media dicono il vero. Questo è l’ultimo livello di lettura».

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Yes Man | Volere il niente piuttosto che non volere

Jim Carrey, un amico, un padre per tutti noi. Di più: un modello.

Se ne sta sul divano, non c’ha voglia di fare un cazzo, gli va tutto male. Anzi nemmeno male, grigio. Dice sempre no, non esce mai in Piazza Santo Spirito, se ne sta in camera o sul divano a leggere tutti i racconti di uno scrittore israeliano che non va neanche di moda, che andava di moda dieci anni fa. Aspettando.

Poi un giorno va a questo incontro motivazionale, la storia è risaputa, e lo convincono che, se dirà sempre e solo sì, l’universo inizierà a complottare a suo favore.

Vola tutto, vitalismo, presobenismo, i primi dieci minuti. Poi il film si incrina, per quanto si sforzino, e si incrina per una serie di questioncine non collaterali ovvero che la stessa idea era già stata usata, identica, in Una settimana da Dio, e, sempre con gli stessi attori, anche in Bugiardo bugiardo, dove, rispettivamente, il protagonista si trovava a 1) fare qualsiasi cosa egli volesse e 2) non poteva mai dire le bugie.

Così il film o meglio, i films, scivolano da un certo momento in poi su binari piccolo borghesi/aristotelici che ci ricordano che il giusto mezzo, il niente, è preferibile al non volere e certamente più facile/giusto della totalità, che invece ha un prezzo enorme: ma io lo so che è a quello che dobbiamo puntare.

Fanculo film del cazzo.

Non l’ho manco finito.

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Ritorno a l’Avana | Differenziare

Tornato a casa dopo il film sono andato a riprendere dal cestino il giornale che avevo buttato via giorni fa, perché mi ricordavo che se ne parlava. Del film intendo.

E’ passato Lapo e mi ha trovato là così, con i fogli tutti spiegazzati in mano, mezzi rotti, accartocciati: – Mbé, che fai? Leggi le notizie?

Non si era accorto di niente, che il giornale era quello vecchio, che lo tenevo in mano ma gli occhi erano immobili. Era stanco Lapo, e quando è stanco gli vengono le rughe in fronte, longitudinalmente, ma solo quando è stanco. Ne aveva moltissime.


Gli ho risposto per educazione, anche se era già a lavarsi i denti e non si aspettava nessuna risposta:

– Leggo cosa dicono del film, il film che ho visto stasera.

– Ah. E che dicono?

– Dicono più o meno le cose che dicevo anche io, ma le dicono peggio.
Lui ha fatto: – Ah ah.
Io scherzavo, non era vero che le dicevo meglio e non erano le stesse cose. Era così tanto per dire qualcosa di veloce che Lapo era talmente stanco, come avrebbe fatto a sentire non dico il mio commento, ma addirittura quello che si diceva nel giornale in relazione a quello che era il mio commento?

E comunque non lo so cosa si dicesse in quell’articolo, non seguivo, ero distratto, perché c’erano di sottofondo troppi rumori, c’era la radio accesa, c’era Lapo di cui non sapevo più niente, in bagno che si lavava i denti, c’era lei di là che aspettava che io andassi di là. Così ho lasciato perdere.
Potrei riprendere il giornale oggi, che ne scrivo, riprenderlo una seconda volta dal sacchetto della carta completamente pieno e che nessuno butta via, potrei riprenderlo in mano adesso e leggere con calma che non c’è nessuno in casa, ma so che non lo farò.

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Boyhood | Autosfiction

A intervalli regolari loro hanno continuato a incontrarsi, all’inizio lui non era che un bambinetto!

Oggi quel bambino è quasi un uomo.

Ma anche lui a riguardarsi indietro, guarda all’epoca che pellina intorno agli occhi! Non una mezza zampa di gallina.

Ogni tre quattro anni lo chiamavano dall’ufficio di produzione e gli dicevano:

– Ehi Ethan, come sei messo nel fine settimana? Ci sarebbe da fare due riprese a Austin.

– Vai, non ti preoccupare, non c’ho un cazzo per le mani, passa il tempo e te non ci fai caso, se non fosse per questi film, eh?

– Eh già Ethan, ma su di te il tempo scivola, c’hai una pellina, eh?

– Già. Mi curo molto, uso delle creme.

– Ah sì, creme?

– Creme per il contorno occhi.

– Capisco. Nivea?

– No, macché, roba costosissima.

– Capito.

– Sì.

– Poi ti direi anche che ho come l’impressione che ci sono una decina d’anni, sì, direi dieci anni, in cui un uomo non cambia affatto.

-Mm

– Sono stato a Parigi, a girare un film tipo il vostro, solo diciamo più classico, un film romantico, l’hai visto?

– Quella storia prima o dopo dell’alba, qualcosa così Ethan?

– Sì, quella roba là.

– Esatto, uguale come con voi. Mi vedo squillare il telefono e so già di che si parla là. Si tratta di prendere un aereo e tornare a Parigi, io la amo, ci sei mai stato tu?

– Una volta Ethan, mi piacque molto, sì, ma pioveva sempre.

– Già. Comunque ti dicevo di questi dieci anni di sospensione del tempo nella vita di un uomo.

– Ecco che cosa mi dicevi

– Sì, vedi una donna verso i quaranta, anzi direi esattamente ai quarantadue ha un tracollo. Ma per l’uomo è diverso, te ne accorgi anche tramite quel vostro film. Patricia è esplosa! Io adoro Patricia, lo sai di noi? Beh, oggi sembra mia madre.

– Già, è sempre bella Patricia.

– Comunque anche io sono uno sfascio ultimamente.

– Non dire così, le tue creme miracolose.

– Non servono a un cazzo amico, guarda il film, guardateli bene, guarda come mi sono ridotto. Odio questi film, amo fare film, ma questi qua col tempo, questi no, li detesto.

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Snowpiercer | Treni e ippodromi

Nel futuro, non chiarissimo il motivo, tutto sarà congelato e l’umanità sopravvissuta, alla glaciazione, vivrà su di un treno che si auto-alimenta e muove intorno alla terra ghiacciata perpetuamente.

Così Nenad Tomovic guida la rivolta di quelli che stanno in terza classe contro quelli che stanno in prima, poiché non hanno le prese per i computer e il cibo non è buono.
Il film rasenta l’inguardabile, ma forse riesce miracolosamente a salvarsi. Secondo me.
A Lapo ha fatto schifo, mentre Lorenzino lo salva.

Comunque a me ricordava l’ippodromo, un’epoca lontana quando si andava a ballare laggiù alle Cascine, insomma a bere e ballare chi ballava, e ballare tutti una volta che si fosse bevuto.

Comunque, all’ippodromo c’erano quattro o cinque sale tutte di seguito e se camminavi in linea retta, come nel treno e nel film, incontravi dei mondi lontanissimi tra loro, i truzzi, gli hop hop, i ragghettoni, i dark, tutti all’ippodromo.

Il treno è come il mondo, si dice nel film, e così erano i nostri ventidue: come l’ippodromo.

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Enter the void | At the Indicatore

Come si diceva in un film italiano della mia generazione che ci piacque molto e che poi dovemmo totalmente abiurare, Enter the Void si spiega tutto nei primi dieci minuti, titoli di testa compresi. Così che i restanti cento-quaranta-quattro minuti saranno i più inutili della storia del cinema.

Che poi voglio dire quando mai l’utilità di un film è stato indice di un film?

Infatti io ero e resto a favore di Enter the void. La botta come la descrive Gaspar (Gas) Noé come la racconta bene lui nessuno mai (per restare in tema di film italiani), sopratutto la botta, ma dopo quella vengono le sventagliate, i carrelli, le riprese aeree, le lucette, tutto alla stra-grande.

A volte ci ripenso e mi dico ok, in almeno due situazioni (il cazzo in soggettiva uterina, che spinge, il feto morto a’gratis, la deviazione in aeroplano sul finale) sono qualcosa che forse si poteva evitare, ma che fanno di questa baracconata una baracconata assolutamente dignitosa.

Non che poi dignitoso sia mai stato indice di alcunché.

P.S. (mi chiedo per un attimo, se un giorno io abiurerò ancora, e scriverò qualcosa dove nemmeno oso nominare, dell’abiurato in questione. Non so rispondere, ma è probabile se mi guardo indietro. Ma perché poi guardarsi indietro?).

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