Mi sono chiesto stasera, se fossi morto, cosa avrebbero deciso di fare con il romanzo che uscirà a maggio. Se gli editori avrebbero cavalcato il fattore emotivo, oppure per pudore, rispetto avrebbero deciso di annullare. Ma la copertina del romanzo è già pronta, mi sono detto.
Ho anche pensato che i miei soldi sarebbero andati a te, dal momento che ci siamo sposati, e la cosa mi ha fatto piacere. Sebbene si tratti di ben pochi soldi e ho immaginato che comunque saresti stata molto triste e quei pochi soldi non avrebbero cambiato un granché.
Perché il tecnico della lavatrice fosse arrivato così presto di giovedì mattina rimane un mistero. Secondo lui le porte telematiche chiudevano alle sette mezzo ma a quanto risultava a noi un tecnico autorizzato sarebbe potuto entrare a qualsiasi orario. Forse amava alzarsi presto? Più che tecnico della Ditta Angelini sembrava un moschettiere francese per il pizzetto lasciato scoperto per bere il caffè e aveva il modo di camminare specifico di un uomo in grado di sollevare lavatrici. Mentre Diana si asserragliava in camera per lavorare, io rimanevo intorno al tecnico moschettiere dalle gambe larghe per sollevare lavatrici e gli offrivo un caffè, prima che smontasse il piano cottura. Forse, mi dicevo, oltre che tecnico e moschettiere era anche buddista perché nonostante intorno a lui niente andasse bene il piano cottura di quattro centimetri, lo spazio disponibile solo di tre la lavatrice nuova che manifestava ulteriori problematiche, lui, il tecnico Angelini, era di un fatalismo commovente, piccolissime bestemmie lievi, mentre io continuavo a ciondolargli intorno. Capivo dalla sua prossemica che non lo stavo aiutando, per questo me ne andavo in salotto a leggere dei racconti di un amico, che da tempo rimandavo. Lui stava là che bestemmiava con dolcezza e io leggevo i racconti dell’amico e mi sentivo, rispetto al tecnico, un po’ lontano dalla vita. Mi sentivo lontano e vicino al contempo, come di lì a un’ora dentro gli Uffizi, tornato a visitarli dopo tanti anni, per la pandemia. Mi commuovevo guardando i coniugi di Urbino e le uniche persone intorno a me erano i guardiani del museo che si addormentavano nella sala di Niobe sulle loro sedie scomode, ma con il caldo dei condizionatori e il silenzio degli Uffizi quasi vuoti. Una guardiana telefonava a casa al Sud, sembrava dall’accento dentro la stanza dei fiamminghi e io cercavo di carpire scampoli di conversazione. Qualcuno aveva fatto o detto qualcosa che non riguardava il padre di Durer, ma un parente o un vecchio amore della guardiana.
Il tecnico della Ditta Angelini, mobili-a-incasso-e-cucine non aveva niente da ridire che leggessi dei racconti di un amico di giovedì mattina. Neanche i guardiani degli Uffizi, sembravano giudicarmi per il mio cappotto blu, alcuni dormivano, altri sembravano felici che il direttore Schmidt fosse in viaggio di lavoro, in Germania o chissà dove.
Gennaio le arance lo sanno che sono rimaste solo tre: due bicchieri non usciranno fuori. Quando invece sono ancora un chilo le arance, ancora loro, spremendone due piccole regalano senza motivo due bicchieri abbondanti per Diana e per me.
Gennaio scrivo racconti per Oblique non mi risponde eppure mi sembrava che era buono.
Gennaio bevo la spremuta il mio mezzo bicchiere scarso.
Gennaio, bevo la spremuta perché fa bene più che perché mi va.
Gennaio valuto l’ipotesi di comprare un ingresso agli Uffizi per domattina per rivedere i fiamminghi mi dico come a giustificarmi.
Se fossi giovane avrei caviglie sempre scoperte, estate e inverno, livide caviglie nude; un piercing al sopracciglio; i lacci delle scarpe allacciati per bene e non come ho ora lunghi e penduli che inevitabilmente mi inducono a fare un doppio nodo: io lo so che quello sarebbe un errore anzi la fine della mia vita attiva per sprofondare nella completa vecchiaia; una specie di cresta, sotto più corti sopra più lunghetti, sebbene senza voler con questo manifestare nessun tipo di protesta o credo o appartenenza politica, o meglio sì, seppur genericamente; delle cartine, filtri tabacco e un accendino che sempre perderei in giro; delle magliette con delle scritte quasi tutte in inglese; un portafogli con dentro molti biglietti e tessere di locali notturni e club in cui sono stato una volta e poi mai più tornato, tessere che comunque potrebbero tranquillamente essere scadute; un posacenere fatto con la noce di cocco; due paia di Clarks; un paio di scarpe da ginnastica che non sarebbero già passate e tornate di moda una o più volte, ma semplicemente delle scarpe da ginnastica; una fidanzata con occhi chiari intelligentissima che mi ama.
Ciao V., provo a rispondere in maniera organica alla tua domanda che riassumo qui un po’ banalizzandola: ho scritto un racconto, a quale rivista lo mando, per cominciare? Il mondo delle riviste letterarie è un cosmo (c’è anche chi ha provato a mapparle tutte, qui) ci sono alcune riviste a cui scriverai mail insistenti o imploranti e non ti risponderanno mai, altre che pubblicheranno il tuo racconto immediatamente e avrai il dubbio che lo abbiano letto, altre che ti imporranno magari un editing pesantissimo, tanto che alla fine il tuo racconto ne uscirà stremato e irriconoscibile (non cedere! scherzo, a volte ci sta). In generale sarebbe forse sensato provare a mandare il racconto non a una rivista generica, ma a una in cui ti piacerebbe che fosse pubblicato, a una rivista insomma di cui condividi lo stile, le finalità, il tipo di letteratura che propongono.
Io ho iniziato a pubblicare racconti su una rivista on line che si chiamava scrittori precari. Com’è andata esattamente per me? Credo che inizialmente mandai qualche racconto a qualche rivista, credo in generale con un esito nullo. Forse erano riviste trovate un po’ per caso, di cui non sapevo niente, magari erano semplicemente riviste molto conosciute e inviai la mia mail in cui dicevo chi ero, e allegato il mio racconto. Le riviste più grosse sono quelle storiche, che un tempo erano riviste cartacee e oggi magari lo sono ancora oppure sono riviste sia cartacee che on-line, o in generale riviste con una storia, riviste su cui hanno pubblicato i cosiddetti “veri nomi” e ancora oggi sono curate da veri nomi. Quelle sono riviste che non pubblicheranno mai il tuo racconto. Ma non il tuo specifico, io temo che in generale non pubblichino contributi che arrivano via mail, a meno che non ci siano delle call in cui chiedono esplicitamente di mandare racconti, o dei concorsi, in generale penso che certe riviste ricevano troppi racconti per poterli pubblicare e anche soltanto per poterli leggere. Nuovi argomenti, Minima e Moralia, Nazione Indiana, (aggiungo anche L’indiscreto), lo dico senza nessun tipo di polemica, sono semplicemente come delle feste a cui troppe persone vogliono entrare, quindi si entra solo su invito o se conosci qualcuno dentro che ti apre la porta. Allora come si fa? Direi banalmente che ci si affaccia al mondo delle riviste più piccole, tramite quella che è la nostra bolla di conoscenze, magari conosci qualcuno che scrive su qualche rivista, e si prova a scrivere a quelle. Io a una serata al Caffé Notte, conobbi questo tizio alto e ubriaco, Liguori, tramite Vanni Santoni, e poi mandai a lui questa raccolta di racconti dicendo, ciao ci siamo conosciuti l’altra sera, forse non ti ricordi, comunque ti mando questi racconti. Così cominciai. I miei racconti uscivano di mercoledì, e io ero felicissimo. Oggi scrittori precari non esiste più, anzi sono anni che non esiste più, a voler essere un po’ severi con me stesso si potrebbe dire che quando io iniziai a pubblicare i miei racconti il sito era già in una fase tramontante, ma forse le fasi sono sempre tutte tramontanti. Sia come sia. Poi da quella rivista la gente che scriveva là si spostò su altre riviste, alcune esistono ancora oggi, come ad esempio Verde Rivista. Verde Rivista è per me una rivista importantissima, perché direi che la maggior parte dei miei racconti sono usciti là, quindi ne condivido in parte il destino, sebbene io non abbia mai fatto parte della redazione, ho conosciuto i redattori e anzi siamo oggi amici. In generale per me le riviste sono sempre stato un modo per uscire da un giro molto ristretto di persone che era quello a cui potevo arrivare da solo, gli amici o quelli che venivano per caso a sentire un mio reading, un modo per uscire da Firenze, per confrontarmi con gente che scriveva e non viveva nella mia città. Per conoscere gente e anche per farmi conoscere, sebbene poi il mondo delle riviste è un mondo abbastanza chiuso su se stesso, e non direi che il mondo delle riviste sia l’anticamera dell’editoria “seria”. Magari per qualcuno lo è, o lo è stato, ma io penso che sia un mondo abbastanza bello, ma avvitato su di sè in cui ci si conosce, forse, solo tra di noi, in cui l’audience è composta da altre gente che scrive e pubblica su riviste simili. Però malgrado questo rischio dell’autoreferenzialità, il mio giudizio sul mandare racconti alle riviste è e resta positivo, perché è anche un modo per uscire dalla solitudine. Non che la solitudine sia negativa per chi scrive, anzi forse è condizione necessaria, ma se la solitudine è troppa può fare sì che uno la smetta del tutto di scrivere, mentre invece così si è come una specie di gruppo di bici che sale una montagna e tutti insieme un po’ ci si tira l’una l’altro. E così si va avanti e quello che all’inizio è una specie di semplice gioco diventa un’altra cosa, diventa qualcosa di totalizzante e si impara che scrivere è una cosa difficile e estenuante (chissà cos’è scrivere, boh) e come tale ha bisogno di lavoro, costanza, etc. Ma adesso mi sto dilungando e un po’ perdendo. Torniamo alla domanda: a chi lo invio un racconto? Penso a te che ti occupi di poesia e che scrivi poesia, non ho letto il tuo racconto, ma forse potresti mandarlo a Settepagine, che pubblica dei bei cartacei, oppure a Oblique/Retabloid che fa questo concorso 8×8 a Roma dove si incontrano editori e pubblicano un cartaceo dallo stile vagamente in stile secessione viennese. In generale guarda un po’ quello che fanno queste due riviste che sento le due più vicine a te, e secondo me loro ti potrebbero piacere. Oltre a queste due direi che una rivista molto bella è L’inquieto, curata da Martin Hofer, che fa uscire dei numeri bi-o tri-mestralmente solo on-line con illustrazioni curate e lavora bene anche con l’editing. Che altro mi viene in mente? La già nominata Verde Rivista, Stanza251, Narrandom, Malgrado le Mosche, direi queste qui. Ne è uscita una mail fiume, anzi quasi un pippone. Buona giornata V., stai bene Simone
L’amore, io credo, sia una cosa così:
ci son due
che siano maschio e femmina è uguale
che siamo io e te, anche questo è uguale.
Vivono in questa casetta.
C’è un bagno
come spesso succede
C’è una doccia
C’è un rubinetto
Tutto normale.
Quando lei fa la doccia lui non apre mai l’acqua
del rubinetto
perché quando lui fa la doccia
lei l’apre,
mica per cattiveria, è solo che fa più cose di lui:
lei prepara la cena,
c’è una pentola d’acqua
da far bollire.
Per questo lui sa che se apri l’acqua del rubinetto,
dalla doccia esce sbilenca
per metà calda,
e per metà niente.
Allora
e qui sta il punto di tutto il discorso
lei non saprà mai, non c’è modo che lo scopra,
mai,
pure se dovessero abitare in eterno,
lei non sospetterà niente, neanche lontanamente:
perché quando lei fa la doccia
lui non apre mai l’acqua,
e quando lui fa la doccia
con l’acqua sbilenca,
poi non va mai da lei
a dirle niente.
E questo insomma sarebbe l’amore:
una cosa così:
una cosa di dire e non dire,
non penso una carineria
dico una cosa di dire e non dire.
Nella giornata di mercoledì, senza alcun motivo apparente, ho iniziato a ricevere delle richieste d’amicizia. Quasi una richiesta al minuto. Facevo un passo nella stanza e spuntava una nuova richiesta. Quasi tutto il giorno è andata avanti questa storia, con richieste da persone mai viste né sentite prima, ma che dopo una breve analisi si rivelavano essere gente in carne ed ossa, dal momento che erano già amiche e amici di altri amici precedenti. Avevano foto profilo per lo più simili tra loro, vi comparivano libri o manoscritti. Li tenevano in mano. Stavano sui treni, guardavano da una parte o dall’altra, altrimenti posizionati di tre quarti come se qualcuno all’ultimo momento li avesse chiamati e loro si fossero voltati di scatto senza immaginare potesse esistere un mondo dietro di loro o qualcuno che di lì a poco avrebbe scattato loro una foto e un’espressione sul volto come a dire: embe? Era come se ci fosse qualcosa che io stesso non sapessi, su di me, in quelle richieste d’amicizia. Come se queste persone avessero scoperto qualcosa e fossero tutte là ad accanirsi nel chiedermi l’amicizia, cosa che io inesorabilmente concedevo loro. Continua a leggere →
Al primo compro oro è andata male, io del resto me lo sentivo, ero entrato poco convinto. C’è da dire che era per me la prima volta. Siete mai stati in un compro oro? No? Prima o poi succederà. Continua a leggere →