Dopo dieci minuti netti dentro l’Unipol Arena, Riki aveva già perso il portafogli mentre io il biglietto del guardaroba. Sarei tornato a casa senza giubbotto, ma si proceda con ordine.
Alcuni giorni fa il mio amico che chiameremo semplicemente A. mi domandava di accompagnarlo a una serata per il ventennale di Memorabilia. Organizzata dalla celebre discoteca Cocoricò di Riccione, si sarebbe svolta per l’occasione a Bologna, Unipol Arena. Accettavo, salvo poi pentirmene immediatamente.
Il Cocoricò, come a dire, la giovinezza che non vissi mai. Nel ’95 era già tutto finito: Riccione, la piramide, i voli charter diretti da Londra, il primo Moby. A me sarebbe giunta come un’eco, come un riflesso di luce laser specchiata in scimmiette e simboli, nei racconti di qualche tamarro che conosceva qualcun altro che c’era stato, al Coco.
Poi una sera di gennaio siamo partiti da Firenze in quattro, e dopo un’ora eravamo già persi allo svincolo di Casalecchio. Superavamo indenni i posti di blocco delle volanti. Posti di blocco ovunque. Dentro al palazzetto era una sorta di incubo, con musica e luci laser e gente che ci passava accanto chiedendo: Emme-Di-Emme-Di-Emme-Di-Emme-Di. Poi la musica e i nomi dei dj storici e i figli, e i figli dei loro figli, come nella mitologia greca. Sullo sfondo l’enorme piramide ricostruita sul palco.
Abbiamo bevuto, ci siamo drogati, abbiamo ballato fino alla fine della serata. L’impatto di quella cosa era a tratti spaventoso per chi come me aveva quasi mai fatto niente del genere. Che potesse degenerare, che potessero scoppiare risse, che se mai mi fossi sentito male nessuno mi avrebbe aiutato. Ma a tratti era tutt’altro, era incredibile.
Partiva l’inno d’Italia, qualcuno faceva dei saluti romani, ma erano una netta minoranza. La maggioranza era gente normale, magari sù di giri, di età varie che semplicemente ballava, vestiva come se fosse il novantasei, alcuni direttamente senza maglietta, ma alla fine di gente smostrata ce n’era poca, si concentravano sotto cassa, mentre noi ci mettevamo un po’ defilati. Stavamo là a bere qualcosa gin-tonic-vodka-lemon e il tempo semplicemente passava.
A. sembrava così felice di essere là ed ero felice pure io, ma non credo fosse per la droga chimica, o almeno non solo per quello, era per un altro motivo che adesso non ricordo. Dopo qualche ora Dj Cirillo salutava tutti, mentre un vocalist che aveva sottolineato certi momenti patici, ci guidava alla riaccensione delle luci.
Io non lo so cosa sia il Cocoricò e cosa rappresenti. Cosa abbia rappresentato. Come un punto di incontro, uno snodo nella vita di molte persone. Un’avanguardia o una fine. L’ho chiesto ad A. ma non ricordo cosa ha risposto, ha fatto un giro di parole, mi ha detto vieni giudica te, ma considera che è cambiato quasi tutto, forse quello che cercavo non esiste neanche più.
Tornavamo a casa che aprivano i bar e i giornalai, le strade erano deserte, senza portafogli, senza giubbotto, con il freddo addosso, con ancora una certa energia a livello delle spalle, dei trapezi, sarà stata la droga chimica, ma io credo di no. Era piuttosto un’energia accumulata dai corpi, dalla musica ascoltata, dai kilometri e dalla visione di A. che ballava in controluce.