L'inquieto, San Frediano (2013-2015)

L’occhio nell’ano

per Matthew Licht

Avendo terminato il mio Ph.D in filosofia morale nel giugno del 2008, erano poche le cose che avrei salvato nella lista delle cose da non fare. Mangiare i cadaveri dei parenti, una volta uccisi in sacrifcio rituale. Sprecare l’acqua. E scopare la donna di un amico.
Dei miei tre capisaldi morali quest’ultimo era senza dubbio il più stupido, eppure io non riuscivo a liberarmi da questo precetto stile dieci comandamenti. Che sciocchezza, mi dicevo, come se una donna mi appartenesse, come se appartenesse a qualcuno, che barbarità, che regola da pastore mesopotamico, eppure, nel 2008, quando terminai il mio Ph.D. alla Columbia, credevo fermamente in questo terzo dettame e solo in questo. Abbandonai di lì a poco l’ambiente accademico, ripugnato dai miei colleghi, persone della peggior specie, dalla moralità abietta. Mollai tutto e mi dedicai ad altro, non ebbi mai nessun rimpianto di aver lasciato quella situazione, ma la mia concezione morale ne uscì comunque influenzata. Rimasi sempre fedele alla regola e non scopai la donna di un amico.
Ad esempio, nel 2011 Laura mi entrò in camera, all’epoca in cui vivevamo dalle parti di Prospective Park io, lei e il suo ragazzo Kiril, lei mi entrò in camera, con i pantaloni addosso e solo il reggiseno, e cominciò a strusciarsi come una gatta, a sbattermele in faccia quelle sue tettine a punta, e io le dissi: “Dai Laura, lasciamo perdere”. E lei mi guardò e disse: “Ma come? Te, fascista, bestemmiatore, sudicio maniaco, puttaniere segaiolo, non hai voglia di mettere le tua mani su queste due cosine?”. Io risposi: “Certo Lauretta che ho voglia, ma ti dimentichi di Kiril”. Andò così. E poco importa che lei non fosse questo gran che e che di lì a poco la sua storia con Kiril degenerasse del tutto e continuare a vivere in quel buco vicino a Prospective divenne impossibile: io quella volta rimasi fedele al mio dettame morale. Poi passarono gli anni e mi fidanzai con Mary Ann.
Mary Ann mi portò a vivere la moralità con occhi diversi, a smettere semplicemente di pensarci continuamente e vivere come si vive tutti: con le nostre abitudini, le nostre cene fuori e i nostri lavori full time del tutto regolari, così che la vita si fa ritaglio, e la morale smette di essere un argomento di qualsiasi interesse. Con Mary Ann frequentavamo spesso una coppia di amici, Bill e Samantha, andavamo a cena con loro, oppure al cinema, oppure a fare delle girate, così le chiamava la mia Mary Ann: “Guarda che giornata, andiamo a fare una girata”. Aveva ragione. Allora io chiamavo Bill e Samantha. Si stava bene con loro e non c’erano particolari tensioni. I pomeriggi d’ottobre nel New England. Risalivamo la costa boscosa ascoltando la musica, ci fermavamo nei bar a mangiare un panino e una birra e un caffè. Stavamo bene insieme. A volte poi la sera discutevamo nel letto con Mary Ann di come erano loro e di come eravamo noi. Nulla di originale. Ma la verità era che io la moglie di Bill, Samantha, me la sarei voluta scopare,che me la sognavo la notte, dopo le nostre seratine di coppia, dopo quelle cene in cui il mio cazzo rimaneva puntato tutta la sera verso di lei. Me la sognavo di notte in tutte le posizioni e non c’era niente da fare: lei era la donna del mio amico, come giravi la faccenda non se ne usciva. Il divieto, mi dicevo, è la più forte formula per attivare il desiderio, è normalissimo. Lei non è niente di che, è pure un po’ scema, non è neanche tanto bellina: mi dicevo, ma non cambiava niente. A cambio con Mary Ann non farei mai, queste sono proprio le tipiche paranoie da piccolo borghese che non volevo diventare, ecco che cosa sono diventato, mi ripetevo. Ma la situazione comunque era bloccata.
Poi una sera che Bill era via, dai suoi parenti in Connecticut e Mary Ann era a Cape Cod a trovare la sorella, Samantha mi telefonò, per invitarmi a una serata di cui era stata promotrice. Io ovviamente andai. Lei era, come dice il poeta, “meno bella del solito”. Sarà stato lo stress per l’organizzazione della serata, ma io sospettai ci fosse dell’altro. Era la tensione che aveva patito per trovare la forza di invitarmi là. Allora passammo quella sera dietro a differenti interessi, lei con la sua mondanità, mentre io al tavolo degli alcolici, ma sempre tenendoci d’occhio attraverso i locali, come a controllarci, e ogni tanto brindammo, al niente, brindammo alla fine imminente, alla fine del mondo, al trionfo del nulla, del male sul bene, brindammo a Satana, ai quattro cavalieri dell’apocalisse e dopo tornammo a casa insieme.
La casa di Bill e Samantha in cui ero stato mille volte aveva quella sera una luce diversa, come un bagliore rossastro. Bevemmo un cocktail sul divano, poi i corpi si avvicinarono e cominciammo a baciarci e toccarci. Le sue labbra, su cui talvolta Samantha appoggiava un dito, come di traverso, a formare un divieto: eccole là. Finalmente potei toccare quelle tette che avevo solo visto e studiato in ogni modo mi fosse possibile. E l’attesa fu ricompensata. Erano dure e grandi e mentre io facevo così Samantha mi sbottonava i pantaloni e iniziava a segarmi piano. C’era passione, ma c’era anche un blocco, una tensione: erano i miei studi di filosofia morale che tornavano e che io adesso dovevo finalmente respingere, abiurare. Poi girai Samantha e cominciai a prenderla da dietro. Prima dei colpi delicati, poi di maggiore intensità. Lei stava semi-girata verso di me, in una torsione, mi guardava e ansimava piano. Fu allora che lo vidi, l’occhio dentro l’ano. Era un occhio e mi guardava, un occhio che sulle prime mi sembrò tutt’altro, come una pallina, come una pustola, ma non ebbi mai repulsione, quello era un occhio, e sembrava terribilmente l’occhio di Bill. Mi fermai di botto e lei mi chiese cosa avessi. Niente, dissi. E ricominciai, facendo finta di nulla, ma quell’occhio mi fissava, era astuto, a volte sembrava benevolo, ma più che altro incattivito, non distoglieva mai lo sguardo da me che scopavo sua moglie. Allora vi sputai sopra, più e più volte, e lui si chiuse. Vi passai sopra un dito e lo spinsi. L’occhio si chiuse e rientrò dentro se stesso. Lei si voltò ancora e annuì, così che io la inculai, scacciando l’occhio nelle profondità del suo retto. Di lì a poco venni copiosamente, rabbiosamente, estrassi dall’ano il mio cazzo e glielo feci leccare. Lei mi guardava con il mento da cui pendevano alcuni fili di sperma, ed è così che me ne andai, come in un porno qualunque, di cui non ha nemmeno senso parlare.

Immagine di Luca Lenci

Poi passarono i giorni, come passano sempre, e molti ne passarono prima che io e Mary Ann, tornata da Cape Cod, rivedessimo Bill e Samantha. Ovvio che facemmo finta di nulla, ma c’era una cosa che non fu possibile ignorare. Bill aveva indosso una benda come da pirata. Si era ferito, ci raccontò, sciando in Colorado, con una racchetta da neve si era accecato un occhio, ma era stato fortunato perché sarebbe potuto tranquillamente morire. Forse si sarebbe sottoposto a un complicato intervento chirurgico, forse non avrebbe fatto niente, alla fine la sua benda da pirata non gli dispiaceva. Samantha e Mary Ann risero, io mi sentii frizzare l’occhio a mia volta, come una bruciatura, come una ferita, come se un occhio chiuso mi guardasse, dall’interno. Non sorrisi e non dissi niente.
(Apparso il 22/06/2015 su L’inquieto)
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L'inquieto, Racconti

S.A.S.N. Scrittura Automatica di Social Network

Prima parte
Un lunedì mattina di fine agosto ho provato ad inviare curricula alle aziende per trovare un lavoro.
A caso.
Le cose non si sono messe bene. Il periodo dell’anno, economico in generale, l’ufficio di collocamento chiuso di lunedì, la mia laurea poco spendibile.
Ho pensato allora di diventare scrittore, ma non avevo niente da dire. Niente di niente in assoluto.
Tuttavia non ho desistito, avevo un computer, connessione internet dei vicini e soprattutto tempo: ho provato con la scrittura automatica, una descrizione impersonale di quello che faceva la gente su facebook.
L’esperimento è durato una mattina da cui è uscito quanto segue.Non me ne vorranno i miei amici digitali e reali che mi perdonano sempre tutto se evito di sostituire i loro nomi veri con nomi fittizi.

Scrittura Automatica di Social Network

Sara si è messa con Tomaso (una sola s) di lunedì. Alle dieci e cinquantanove. Alle undici in punto, dunque un minuto esatto dopo il fidanzamento, Sara ha invece condiviso sulla bacheca un fenomeno in sé molto triste, circa alcuni cavalli, cavalli dell’ippodromo di San Rossore, che verranno abbattuti se nessuno se li piglia.

I due fenomeni, fidanzamento con Tomaso da un lato e cavalli morti dall’altro, moltitudini di cavalli da monta che verranno abbattuti, non possono certo apparire eventi scollegati, non lo sono, ma collegati tra loro indissolubilmente, così come lo sono le dieci e cinquantanove con le undici di mattina. Lunedì mattina.

Clara domanda a Simon, Francois e Coren se anche loro si trovino a Troyes, ma nessuno ha ancora risposto e sono già passati 42 minuti da quando Clara ha rivolto la domanda.
Quindi forse non sono a Troyes o forse non hanno voglia di vederla o altro da fare. Cosa, in questo lunedì d’Agosto? Cosa stanno facendo i miei omonimi francesi che non rispondono a Clara questo lunedì mattina? Saranno agli uffici di collocamento a cercare lavoro? No, il lunedì mattina è solo su appuntamento. Forse sono andati a portare dei curricula di persona. Deve essere così.

Carlos dice che “El nombre es lo de menos”, il nome è il meno. Ma in effetti lo spagnolo si capisce.  Non capisco bene cosa c’entri il commento con la foto del vecchio Carlito brigante che non rivedo dai tempi del whisky a Malta e della tristezza e degli oceani di autoreferenzialità. Carlos, nella foto, è con gente sorridente tutta intorno. Lui ha l’aria che fa di solito quando parla di soldi e del padre. Ad ogni modo, la definizione, El nombre es lo de menos, continua a non dirmi niente. Basterebbe leggere i commenti, ben sei, per capire forse il senso di quella frase, ma sono certo che non li leggerò. Ciao Carlos. Ci vediamo, sì.

Eby alle cinque e mezzo di stanotte doveva avere dei seri problemi a prendere sonno. Lascia testimonianza di questo disagio tramite una breve storiella edificante. È la storia di un uomo ricco che dà un cesto di spazzatura a un povero. Il povero lo svuota, lo lava e lo restituisce all’altro con dentro dei fiori. Perché, chiede il ricco? Ognuno, dice il poveraccio, dà ciò che ha nel cuore. Io l’ho trovata una storia orrenda, sviluppata molto male da quello che l’ha inventata, un finale tutto da rivedere. Il povero, nella spazzatura, avrebbe potuto cercarvi del cibo o qualcosa da rivendere o da riutilizzare. Invece niente. Lo svuota. Ma che senso ha? Lo lava addirittura. Non ha proprio senso e sono sicuro che adesso Eby stia ancora dormendo con la testa piena di stronzate e risentimento. Per lui è ancora domenica notte.

Anche Valentina ha avuto un lunedì mattina all’insegna della morale semplice e cara di Nonna Papera. Dice, in spagnolo, che le cose migliori della vita sono gratis. E vedi anche che non ti confondano. Valentina iniziava il suo lunedì molto probabilmente inoperoso con questa affermazione. Il punto debole della frase sta ovviamente in quel “migliori”, che lascia comunque un margine abbastanza ampio per cose non migliori ma fondamentali che verranno pagate a caro prezzo, probabilmente pagate da qualcun altro.

Celine, che è gemelli e sempre un po’ in ritardo sul presente, ha condiviso adesso la copertina di “Le Monde”. Si vede Armstrong, l’astronauta, con alle spalle il bandierone americano. Tutto questo perché ieri, ed ecco la lentezza di Celine, il tale è morto. Il primo uomo sulla luna è esploso in circostanze niente affatto misteriose e adesso non si dica che non era una figura scomoda e che quella storia non sia stata una montatura mediatica per il controllo delle coscienze, come già sostengono da anni i meglio informati.

Disegno di Fabio Carretti

Disegno di Fabio Carretti

Seconda parte
È passato un anno e mezzo e io ancora mi rigiro tra le dita questo testo, tra le mie dita atrofizzate a causa del lavoro che me le impegna parecchio.
Con questa frase innocente non vorrei denunciare tra le righe alcun tipo di sfruttamento o pretesuccia sindacale di sorta, poiché dipende da me e solo da me che mi facciano male le articolazioni, per il mio riuscire a usare al computer solo l’indice e, in rarissime occasioni, il medio.A un anno e mezzo di distanza da quel testo spensierato o forse disperato, mi rigiro ancora tra le dita metaforiche e contratte questi appunti sparsi e penso per un momento che sarebbe bello, come in quei film che ora non guardo più, sapere dove sono andati a finire i protagonisti della storia, come in Animal house, se poi la memoria non mi inganna.
Basterebbe controllare su internet, ma so che non lo farò.
Comunque ci siamo capiti: quei film che finiscono e si ha un supplemento di finzione. Ci è dato sapere che ne è stato dei personaggi. Sì, mi piaceva l’idea di ritornare ancora una volta su quelle persone con cui condivisi una mattina di agosto e vedere che ne è stato di loro.

Questo forse servirà a capire come sto io oggi, o forse a niente.
Forse semplicemente a concludere questo testo.

Cosa ne è stato dei protagonisti
Sara sta ancora con Tomaso. O forse è solo rimasta la spunta.
Pubblica una foto di sé, ad una vicinanza tale dall’obiettivo da mettere in rilievo la sua pelle, liscia, quasi bruciata per il flash della foto. È una foto che definirei intimista.
Non si vede la bocca, il luogo della seduzione; solo gli occhi, che guardano verso destra, verso in basso a destra e uno psicologo forse potrebbe dire se sta mentendo o dicendo la verità. Io no.
È una foto, ora ho capito, dove si riesce a vedere anche la bocca, ma quasi non si notava, a un primo sguardo. La bocca, come la linea del naso, sono semi-scomparsi per la luce del flash. Sara adesso lavora come ebanista, da qualche parte, nelle Marche, ha ancora una relazione sentimentale e ha messo una foto profilo in cui appare lievemente infelice, chissà se dipende dalla relazione, dal contratto di lavoro o da cos’altro.Clara non domanda più niente a nessuno. È stato il suo compleanno e tutti le fanno gli auguri. Ha compiuto venticinque anni e insomma anche la piccola Clara sta crescendo e lavora in una qualche situazione di etichette musicali indipendenti, in una Francia che da quaggiù si presenta tres cool.
Io non so con esattezza, ma a giudicare dal numero di like che non ricevono i suoi articoli di musica inascoltabile che propone, Clara deve fare roba veramente molto interessante e innovativa.
Non lo dico per salvare me e le mie cose desolate che pubblico sul social network. No, non sono le solite chiacchiere per difendermi indirettamente dalle accuse sul valore artistico delle cose che faccio in relazione al riconoscimento che se ne ottiene.Carlos ha quasi completamente smesso con i suoi commenti incomprensibili e ora posta soltanto foto di impianti sciistici innevati. Ricordo ancora il suo segno zodiacale eppure sono passati anni e anni senza mai cacarsi di striscio, neanche un saluto per Natale o un like a caso, o per pietà.
Sta leggermente imbolsendo, il vecchio Carlito e adesso mi chiedo se sopravvivrà alle annuali epurazioni che compio nel mio profilo facebook.
Se abbia ancora senso vedere queste foto, leggere questi brevi commenti ogni giorno che passa sempre più incomprensibili.

Eby, mi sembra di capire, aprirà un negozio di spezie e di riso e di té persiano, paese fantasmatico da cui egli proviene. Scrive ancora piccole storielle edificanti tipo quella del povero e del ricco e dei loro cestini, ma meno di un tempo.
In una recente riflessione parla dell’eterna lotta tra il bene e il male che poi sintetizza in un momento dionisiaco in cui egli si riconoscerebbe parte o parte integrante. La mia psicologia spicciola che raramente sbaglia mi porta a pensare che Eby continui a passare delle serate divertenti, che il negozio di spezie sia ancora notevolmente di là da venire e per il resto la solita bacheca zeppa di puttanate e donnine seminude postate da suo fratello maggiore.

Valentina è un mistero: forse si occupa di fotografia, che però è sinonimo da sempre di disoccupazione e povertà, almeno che tu non sia ricco di famiglia o trovi ospitalità in una mansarda. Quindi.
La trovo bene Valentina, fa delle foto abbastanza interessanti, ci sono dei riflessi, dei bianchi e neri in cui lei compare e scompare, io penso che dopo gli anni passati all’estero sia tornata a casa sua, come sempre accade, che sia tornata nel suo piccolo paese del sud e che là sia una sorta di profeta o fantasma e scriva frasi sibilline così da conquistare i ragazzi e le ragazze più belli di quando era una bambina e poi dedicarsi invece ai più sfigati e reietti del paese e agli animali in senso letterale, sempre per ragioni poco chiare, ma che si potrebbero leggere in relazione alla situazione socio-economica in cui lei si trova.

Che ne è infine della dolce Celine, del suo essere altrove, sulla luna, con un giorno di ritardo sul tempo presente? Pubblica una foto dell’estate, con la pelle color bronzo, lei che di solito è così algida. Ha i capelli corti, tiene in mano un cocktail dal nome esotico ed è con delle amiche attorno che fanno come lei.
Poi una foto di copertina dove un verbo all’imperativo e un’imprecazione americana invocano e impongono un immediato trasferimento a New York come soluzione alle problematiche in generale e in particolare a quelle del suo presente francese, dove le cose devono essere abbastanza statiche. Celine sogna ancora la luna ed è per questo che mi piace e le ho messo un like: a quella foto dove sta sul divano, quella in cui guarda verso l’obiettivo e non indossa le scarpe.

(Apparso il 21/03/2014 su L’inquieto)
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