In fuga dalla bocciofila

Fino a qui tutto bene | Ardore

Così una sera ho conosciuto la tipa, ma prima del film, e deh.

Era la festa dei trent’anni di Ferro e si stava là a casa sua e c’era molta gente e il vicino di casa non doveva essere felice, per tutta quella musica.

Così io e la tipa ci siamo un po’ guardati, attraverso le cose. Come si guarda sempre, in generale, alle feste e si è un po’ bevuto. E niente, lei, deh.

Di certo era bella, questo sì. Melissa, Anna, Paola, deh, qualcosa così, ha detto Ferro alcuni nomi, di certo erano due, quando io gli ho chiesto: «Ma quella?» e lui ha fatto:«Ma chi, Melissa Anna?» o forse «Ma chi, Melissa Paola?», qualcosa così.

Ferro ha detto qualche nome del genere e poi mi ha fatto: «Che vuoi sapere?».

«No, niente», ho detto io, «bello quel neo dietro la spalla sinistra».

Tutto qui. Ho detto solo questo, a Ferro. E lui era distratto e ha trascurato tutti i possibili sensi ulteriori, della mia domanda.

Ci siamo guardati ancora, con Melissa, con l’indolenza che si ha a queste feste, come se ciascuno portasse avanti le sue differenti campagne di Russia (nel senso di fallimentari) e comunque il nostro sguardo, questo voglio dire, non rappresentava in assoluto un fronte unico, giusto uno dei possibili, della serata. Solo dopo un po’ risultava chiaro che gli altri fronti si sgretolavano, e ne restava soltanto uno.

Così abbiamo parlato.

Lei stava insieme a certa gente, è così che funziona, e io conoscevo qualcuno di loro, e avevo bevuto abbastanza, così che mi sono avvicinato, è così che funziona. E abbiamo parlato. Le ho detto: «Ciao, sono … » e il mio nome. Lei mi ha guardato di rimando e io ho pensato soltanto: bada che fia. Poi lei ha detto quei suoi doppi nomi, e ho pensato: oh no, merda.

Le ho chiesto come si chiamasse, solo questo, e lei mi ha detto quei due nomi e che fosse un’attrice, che non avrebbe potuto fare che questo, nella vita, nel mondo, che dopo essere stata a Parigi ora stava a Roma, e che non contava nient’altro per lei, e io ho pensato: mmnooowwmm.

E poi mi ha guardato e ha detto: «E tu?».

Allora ho pensato di dirle: Io scrivo, sono un cazzo di scrittore, scrivo cose, scrivo racconti, romanzi, copioni, scrivo tutto, scrivo per blog sotterranei, per blog diurni e notturni, sono uno scrittore baby, caccio i leoni in Africa, io.

E invece l’ho guardata e le ho detto che io niente, che lavoro di notte e a volte anche di giorno al porto, di come mi piace scaricare e caricare col muletto. Che il muletto è il mio migliore amico, che riempie di senso la mia vita, che potrei sollevare e spostare qualunque cosa, volendo.

Lei allora mi ha guardato come se capisse e non ha detto niente, ma se ne è andata dietro altri fronti, a stare immobile contro una parete e parlare con qualcuno altro e io non ho pensato a nulla, solo mi ripetevo internamente il suono del muletto, il suono del mondo: mnioooowwwmmm.

E mentre se ne andava dalla parte opposta della stanza e il suo neo dietro la spalla sinistra quasi mi salutava, e nessuno mi ha sentito per la musica di Boratto, allora ho detto una formula che chiarisse il concetto, e era:

«Pisa merda».

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Matrix | Dopo Matrix

I gemelli Wachowski si sono impossessati del concetto di deja-vu, dopo Matrix non è stato possibile dire più nulla sul concetto di deja-vu, penso a questo (proprio così) mentre la luce di Aprile trafigge da sinistra il freccia rossa e alla destra si aprono paesaggi del Rinascimento.

E’ già successo, questo viaggio a Roma di un week-end, con Diana e la sua famiglia, gli alberghi, i ristoranti, il sole di Roma e la luce di Roma, sempre un treno che ci riporta a casa con i piedi che fanno male, un libro quasi finito nella notte e niente di possibile da dire, sui deja-vu.

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1992 | Un haiku per Mulino Bianco

Nelle tristi giornate di Pasqua, piovose, grigie, senza una donna e una famiglia alle spalle, ho guardato con il mio coinquilino Walter, perito agrario, la discussa serie televisiva italiana. Questi sono in ordine sparsi alcuni dei nostri commenti.

Le serie, non si dovrebbero guardare mai, nessuna serie.

Il messaggio comunicativo, se c’è, si esprime nelle prime tre opere di un artista. Poi la spinta si esaurisce.

La serie afferma che la vita continua, che il nulla si dispiega, che il brodo si allunga, che le cose non finiscono, che tutto ritorna. E’ una verità, ma non serve a niente.

Ciò che bisognava dire qui e non si dice è che oggi la cultura è in mano ai comunicatori, mentre prima era stata ad appannaggio di uomini di sinistra. Avevano le ideologie questi ultimi, mentre quelli di oggi hanno semplicemente dei cappelli.

La nostra è una generazione accorsiana, o vorrebbe esserlo. Il tipo di provincia che arriva a mettersi con Letizia Casta, e malgrado ciò continua a non aver fatto un film memorabile, ma diciamo semplicemente decente, rimane comunque un attore minore, una nullità, uno con la faccia simpatica.

Quando qualcuno ti parla di una serie è come se ti parlasse di sostanze. Hai provato la nuova serie della HBO? Le serie non sono mai sane. Il bilancio è sempre a sfavore, non si vince mai, Lynch lo sapeva e dopo la prima puntata si ruppe immediatamente i coglioni.

Non consiglieresti mai una serie a una persona a cui vuoi bene. Si perde tempo, non si ottiene nulla, la puntata successiva la vuoi vedere solo perché ormai hai visto la prima che si conclude bruscamente e vuoi sapere cosa succederà, ma non succede mai nulla, si prepara solo la scena finale della puntata, ecco che cosa si fa in queste serie.

Che poi un Dostoevskij scriveva roba lunghissima è una critica che non significa niente.

Beautiful afferma che siamo immortali, che la vita è eterna, afferma una verità naturale, l’anima mia è quella del mondo, ma non lo sa, non ha nemmeno un inconscio per intuirlo.

Il fatto che per errore abbiamo visto prima la puntata numero 2 e dopo la numero 1 ha reso possibile il fatto che siamo arrivati fino alla puntata 6, ma adesso basta. E’ veramente troppo.

Ti stai indurendo, stai diventando come uno di quegli anziani rancorosi. E pensare che parlavi di situazionismi, di guardare gli anziani che guardano i lavori stradali come un’esperienza religiosa. Diventi come loro, nei tuoi commenti, nel tuo risentimento. Anche nelle cose che scrivi. Guardarti su questo divano è per me un monito.

Una Porsche Carrera, con una ventina d’anni, la si trova a novemila diecimila euro. Ti immagini arrivare in ufficio in Porsche Carrera?

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Una nuova amica | Magari avesse il cazzo

La mia nuova amica fica mi ha domandato: «Ma te che ne dici dell’amicizia tra uomo e donna?»

E io ho pensato: No, ti prego non farlo.

E le ho detto: «Mah senti, non so bene che risponderti, in altri tempi della mia vita, all’epoca dei miei tatuaggi giovanili, per farti un esempio, avevo una posizione abbastanza netta al riguardo».

E le ho mostrato l’avambraccio dove si legge la scritta, in gotico e oro: SOLO FREUD.

Il Mago Sabbiolino, ho pensato, sta tornando a trovarmi.

Lei mi ha guardato con occhi di soriano, e ha detto: «E oggi che ne pensi, quindi?»

Quindi, ho pensato, quindi quindi quindi.

Ho detto: «Beh, oggi sono in una fase di riscrittura di tutta una serie di problematiche che un tempo avevo risolto e messo da una parte, tra cui l’annosa questione dell’amicizia tra uomo e donna. Che poi da là si innescava quel movimento di messa in dubbio complessivo al concetto di genere, dei sessi come qualcosa di rigido, codificato, e invece lasco. I generi non esistono davvero, esistono le persone».

Lei mi ha guardato e ha aperto lievissimamente la bocca, tanto che si riusciva a intravedere un incisivo, forse scheggiato.

Chissà se capisce, ho pensato, chissà se le piace farsi picchiare.

«Lo so che è difficile parlare di certe cose in questo posto, qui al Mercato Ortofrutticolo, dove i ruoli sono ben codificati e netti», le ho detto passandole una cassetta di verdura. «L’uomo uomo, l’uomo scimmia, l’uomo pene, l’uomo relitto. Ma pensa per esempio al Fornaio Gaio».
«A chi?» Ha detto lei corrucciando la fronte.
«Il fornaio dove a volte andiamo a pranzo, dai, quando il trippaio è chiuso, quella volta l’anno che ci vanno i Nas a fare le analisi del».
«Del?».
«Del colera».
«Ma ti riferisci a quel fornaio omosessuale..»
«Beh, è padre di due figlie splendide, un marito esemplare. Per quello che importa».

La mia nuova amica fica, giù al Mercato Ortofrutticolo, allora mi ha guardato ancora un attimo e poi ha continuato a fare le sue cose, come se improvvisamente fosse lontanissima, come se non venisse da Ponte a Brozzi tutte le mattine all’alba con il motorino, ma della Francia occidentale, da Bajonne la ventosa. Come se il colore delle sua labbra e odore di more di rovo Chiaverini fosse qualcosa di esotico, un prodotto di importazione che arriva dai tropici.

«Ma quindi, che c’entrava il Fornaio Gaio con la mia domanda?», ha fatto.

«Niente, era tanto per dire qualcosa. Che per come la vedo io le cose sono complicate, ecco tutto. Fosse il duemilacento, o duemila duecento, o il tremila, capirei, ma oggi i tempi non sono maturi, e io non mi sento pronto.
A meno che tu non abbia il cazzo. In quel caso potremmo anche essere amici».

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Inherent vice | Al The Space

(Nel foyer)

Andare al The Space è un’esperienza degradante.

In bagno? Meglio che non ci entri, è troppo sporco.
Anche da voi avevano cacato nei vespasiani? Ah no, voi non li avete.

Ho l’ansia, ti sembra manchi l’aria? Mi sento malissimo, cosa faremo per i prossimi otto minuti?
Stai calma, andiamo là, in quell’angolo.

Non hai la sensazione che da un momento all’altro potrebbe tranquillamente fare irruzione un pazzo con un fucile mitragliatore e fare una strage? Del resto è già accaduto in posti in tutto e per tutto identici a questo.


(Entrando in sala)

Beh, indubbiamente non si può negare che i posti non siano comodi. Ma otto euro e settanta, porco ddio.

(Mentre passano le pubblicità all’inizio del film)

Ti immagini l’uomo del The Space, voglio dire la silhouette, l’originale, quello che ha dato la sua ombra al logo di The Space?
Embé?
No, così, ti immagini essere lui?


(A fine primo tempo)

L’intervallo è una merda, voglio dire, sarebbe anche giusto il concetto. Sei a teatro, non so, vai a vedere Barry Lyndon, ti stai pisciando addosso, fine primo tempo. Ma come li fanno ora, a metà inquadratura, o in un film come Birdman, mi spezzi la piano sequenza. Non so. Io contesto la scritta: “Pausa relax”, come se non lo stessi già facendo, il relax. Il relax da relax è non-relax


(A uscita sala)

‘Nsomma, che ne dici?
Non mi viene da dire niente.
Troppa trama?
Punta trama, avrei detto io, proprio l’impossibilità della trama dal momento che vi è una trama.
Giusto un’idea, una sola…
Sì, ma…
Chiara ha detto il miglior film degli ultimi cinque anni. Possibile?
Eeee
A me non viene in mente nessun film degli ultimi 5 anni: Adele?
Gli ultimi 5 anni? Perché poi cinque anni? No, non voglio pensarci.


(Andando via)

Ma dici che la musica di Greenwood..
Cosa?
Che fosse quel Greenwood. Eh? Ci siamo capiti no?
Può darsi, però adesso andiamocene di qui, subito.

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Wrong cops | I nostri amici fighi fanno di noi amici fighi per qualcun altro

Se per caso tu che leggi dovessi avere un amico figo o un’amica figa (non continuerò a portare avanti il doppio binario di femminile e maschile, perché il concetto è chiaro), dunque se tu hai un amico figo un giorno ti parlerà senz’altro di questo film qui, Wrong cops. Forse ti dirà per farti capire:

«Sai, è dello stesso regista del film dove il protagonista era una ruota».

«Una ruota?», dirai te, e penserai magari a una palla, a DeLillo, perché sei tardo di almeno vent’anni, «Dici la storia di una ruota dalla sua nascita in una fabbrica per poi passare a diverse auto e proprietari e così di seguito fino a venir bruciata o in qualche discarica?».
«No no, non in quel senso, intendo proprio il film che il protagonista era una ruota, un ruota assassina».
«Ah, ok, non lo conosco».
«Ma sì, certo che lo conosci, come hai fatto a non sentirne parlare?, anni fa non si parlava d’altro».
«Ma dov’è che non si parlava d’altro? In quali salotti, in quali piazze, in quali metropolitane, locali, tramvie, di quali città?».
«Ma sì, dappertutto».
«Eh no, non ce l’ho presente quello della ruota assassina».
«Vabbé dai, copiati questo dalla mia pennetta usb, ti dico che il regista è un genio assoluto, e non è neanche questo qui dei poliziotti il suo film migliore, ma un altro ancora».

Ecco se tu dovessi per caso avere un amico figo allora ti dirà grosso modo queste cose, queste stesse cose che ti sto dicendo, ma se tu questo amico non ce l’hai, facciamo finta che sia io quell’amico, e che te lo sto dicendo adesso.

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Birdman | Odeon Bistrò

Prima, quando si guardavano i film doppiati, era tutto un:

«I film doppiati? Non si possono vedere! È una cosa contro natura, senti che voce gli hanno messo, poi ti rendi conto l’assurdità, come se uno che abita in Colorado parlasse in italiano, ma che c’entra? E ancora più patetici quando vanno a inserire differenti dialetti italiani per restituire inglesi di differenti nazionalità e provenienze. Ci hanno fatto credere che in tutto il mondo parlassero l’italiano, in un certo senso è il sogno di Mussolini dell’impero, l’istituto Luce, che ancora vive. La verità è che c’è una lobby segreta dei doppiatori che ha in mano la nostra vita, controlla l’uscita dei film in questo nostro minuscolo paese alla deriva, questa è la verità, e in definitiva i doppiatori di film saranno anche bravi, e quelli italiani i migliori del mondo, come dicono, ma secondo me, quando stanno nei loro studi di registrazioni al buio e doppiano, lo sanno anche da soli che è tutto inutile, una battaglia persa, che non c’è futuro nel mondo del doppiaggio. E sono disperati».

Ora, che invece guardiamo solo ed esclusivamente film sottotitolati, è tutto un:

«Certo che i sottotitoli scritti in giallo non si potevano vedere. Che poi, a essere sinceri, questi sottotitoli li ho trovati lievemente imprecisi, non ti pare? La non corrispondenza tra il parlato originale e quello che ogni tanto -raramente- scorgevo sotto, quando ogni tanto buttavo un occhio sotto, ecco, mi creava un disagio. A te non creavano disagio quelle inesattezze?»

Stravaccati all’Odeon Bistrò. La persona che ho di fronte muove le mani ad accompagnare la frase, e nel fare così urta il suo French Connection che tiene davanti. Osservo le gocce di quello che non sembra essere una soluzione di amaretto e cognac ma piuttosto di amaretto e whiskey così che improvvisamente mi rendo conto con autentico terrore che non si tratta del cocktail che credevo ma di una sua variante che prende il nome di Godfather. Lo scopro guardando sul telefono senza farmi notare. La mia espressione, un occhio lievemente socchiuso, l’altro ben aperto e un sopracciglio verso l’alto e uno verso il basso a formare una svastica. La mia replica, qualcosa che non c’entra niente, come se non avessi sentito una sola parola di quel discorso:

«Sì, il film mi ha fatto pensare a una sorta di ossessione da Synecdoche, di una sfida al vertice, con Kaufmann, io poi francamente non so se questa sfida Iñárritu (pronunciando la gn alla spagnola) l’abbia vinta, ma nel dubbio, ti direi di no. E dimmi, com’è il tuo Godfather? Sembra ottimo».

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Hungry hearts | Tu non hai fame?

Il salumiere di via Romana termina di arrotare il coltello con estrema lentezza, benché ci siano già quattro o cinque clienti che attendono e rumoreggiano. Cosa farebbero questi, se solo al di là del banco ci fosse un impiegato delle poste e non un uomo con un coltello?

«Prossimo», urla il salumiere, ma nessuno prende la parola. «Novantasei, diobono» puntualizza ancora l’uomo, accalorandosi subito nel volto.

«Eccomi, sono io», dice una ragazza con i capelli ricci.

«Via signorina, acceleriamo le operazioni».

«Vorrei del prosciutto».

«Non ci siamo signorina, mi deve dire qualcosa in più. Come lo vuole: crudo, cotto, stagionato, casalingo, salato? Mi dica, mi dica».

«Sa, io non me ne intendo, sono vegetariana».

«Ah, benissimo, la signorina qui è vegetariana. E che se ne fa del prosciutto, mi dica, ci concima l’orto?».

«No, vede, è che stasera con il mio compagno prepariamo delle crêpes».

«Ah, poteva dirlo subito bella signorina. Allora le ci vuole il cotto, ecco quello che le ci vuole. Quanto gliene affetto?».

«Tre etti».

«Benissimo signorina, così mi piace, bella decisa».

Il salumiere affetta con estrema lentezza, come un maestro di cerimonie, come un massone abbraccerebbe un confratello, come un muratore un pontaio. Fette sottili come fogli di carta velina, carta da origami.

«Ecco qua, tre etti e mezzo, lascio?».

«Lasci, lasci».

«Sa una cosa signorina bella? Le farò una confidenza: nella nostra famiglia siamo tutti vegetariani, non ci crederà, ma è così. Lo siamo diventati. Prima ne mangiavamo parecchio di prosciutto come questo, sa? Poi la bambina, aveva sette anni, le son cominciate a spuntare le tette. A otto anni le è comparso un terzo capezzolo. Così sono andato da un naturopata, questi mezzi dottori fricchettoni, che mi ha detto: O la fate finita di dar tutto quel prosciutto alla bambina o sarà costretto ad abbatterla. Così mi disse».

«Ah».

«Prego signorina. Desidera altro? C’ho della finocchiona che è speciale».

«No, grazie, sono a posto».

«Il prossimo allora, a chi stiamo? Novantasette. Forza signori, non siamo mica alle poste qui».

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Barry Lyndon | Bombe allo Yab

Mentre contavo mentalmente quante volte nel film si ripeteva la parola “proper”, adeguato, corretto (sono tredici volte) mi rendevo conto con la chiarezza delle scoperte negative che i bassi che sentivo di sottofondo non erano parte del film. C’era stato un momento in cui io non lo sapevo se fossero rumori del film, se fosse una cosa voluta, ma poi dopo un po’ avevo cominciato a sperare che fossero del film. Bruttissimo segno. Invece era soltanto la discoteca del cazzo YAB, ubicata giusto a lato al mio cinema preferito numero due. Erano i bassi del cazzo della discoteca demmerda dello Yab, del loro lunedì sera discotecaro. Possibile, mi chiedevo, che ci fosse gente che facesse serata non dico di mercoledì, ma di lunedì? Gente che proprio mentre io sentivo suonare Schubert stava bevendo un gin tonic? Sì.

Ho perso il mio lato zen: un tempo ero pacificato, è il lavoro che mi ha indurito, e penso il male di chi mi fa male, un tempo cercavo di evitarlo. Guardavo la parabola discendente di Redmond Barry e pensavo solo a ordigni, a costruzioni piriche posizionate davanti all’ingresso della discoteca, un semplice avvertimento. Poi, dopo l’inutile cordata di solidarietà da parte della società civile connivente, l’enorme esplosione. Il massacro. In cui perdeva la vita anche il mio vicino di pianerottolo, noto frequentatore del suddetto luogo, che di solito ritorna a casa urlante verso le quattro, in quello che ormai è a tutti gli effetti il martedì mattina.

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Nymphomaniac (Parte Uno) | Scandaloso veramente

Si sarebbe potuto intitolare Aerophagy, o Tympanites (meteorism) e sarebbe cambiato niente: la storia di una ragazza che soffre di accumulo di gas intestinale. Il riferimento culturale con cui si sarebbe aperto il film sarebbe stata la frase di Dante: Ed elli avea del cul fatto trombetta. Chiaramente in bianco su sfondo nero, dopo un minuto abbondante di buio assoluto e nessun suono. Perché adesso siamo nella mani di Lars. Brrr, sai che paura.

Poi come dicevo quella scritta dantesca e il rumore prolungato di una pernacchia o quella che avremmo potuto scambiare per una pernacchia, ma che era ovviamente altro. Cha scandalo!

Il film di Lars Von Trier si apre invece con una frase che ci spiega come l’avrebbero ancora una volta censurato, che quella è solo una versioncina corrotta del suo capolavoro, che lui un pomeriggio che era impegnato a fare altre cose ha deciso magnanime di approvare, ma che non la riconosce come opera sua. Ora, delle due l’una, pensavo io, che finalmente potevo dire quella frase che sento dire da anni e non so mai come usare.

Poi appunto si installava in me quel pensiero dell’aerofagia al posto della ninfomania e il film mi scorreva in parallelo, fino all’uscita e i relativi commenti entusiastici.

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