In fuga dalla bocciofila

Inherent vice | Al The Space

(Nel foyer)

Andare al The Space è un’esperienza degradante.

In bagno? Meglio che non ci entri, è troppo sporco.
Anche da voi avevano cacato nei vespasiani? Ah no, voi non li avete.

Ho l’ansia, ti sembra manchi l’aria? Mi sento malissimo, cosa faremo per i prossimi otto minuti?
Stai calma, andiamo là, in quell’angolo.

Non hai la sensazione che da un momento all’altro potrebbe tranquillamente fare irruzione un pazzo con un fucile mitragliatore e fare una strage? Del resto è già accaduto in posti in tutto e per tutto identici a questo.


(Entrando in sala)

Beh, indubbiamente non si può negare che i posti non siano comodi. Ma otto euro e settanta, porco ddio.

(Mentre passano le pubblicità all’inizio del film)

Ti immagini l’uomo del The Space, voglio dire la silhouette, l’originale, quello che ha dato la sua ombra al logo di The Space?
Embé?
No, così, ti immagini essere lui?


(A fine primo tempo)

L’intervallo è una merda, voglio dire, sarebbe anche giusto il concetto. Sei a teatro, non so, vai a vedere Barry Lyndon, ti stai pisciando addosso, fine primo tempo. Ma come li fanno ora, a metà inquadratura, o in un film come Birdman, mi spezzi la piano sequenza. Non so. Io contesto la scritta: “Pausa relax”, come se non lo stessi già facendo, il relax. Il relax da relax è non-relax


(A uscita sala)

‘Nsomma, che ne dici?
Non mi viene da dire niente.
Troppa trama?
Punta trama, avrei detto io, proprio l’impossibilità della trama dal momento che vi è una trama.
Giusto un’idea, una sola…
Sì, ma…
Chiara ha detto il miglior film degli ultimi cinque anni. Possibile?
Eeee
A me non viene in mente nessun film degli ultimi 5 anni: Adele?
Gli ultimi 5 anni? Perché poi cinque anni? No, non voglio pensarci.


(Andando via)

Ma dici che la musica di Greenwood..
Cosa?
Che fosse quel Greenwood. Eh? Ci siamo capiti no?
Può darsi, però adesso andiamocene di qui, subito.

Standard
In fuga dalla bocciofila

Wrong cops | I nostri amici fighi fanno di noi amici fighi per qualcun altro

Se per caso tu che leggi dovessi avere un amico figo o un’amica figa (non continuerò a portare avanti il doppio binario di femminile e maschile, perché il concetto è chiaro), dunque se tu hai un amico figo un giorno ti parlerà senz’altro di questo film qui, Wrong cops. Forse ti dirà per farti capire:

«Sai, è dello stesso regista del film dove il protagonista era una ruota».

«Una ruota?», dirai te, e penserai magari a una palla, a DeLillo, perché sei tardo di almeno vent’anni, «Dici la storia di una ruota dalla sua nascita in una fabbrica per poi passare a diverse auto e proprietari e così di seguito fino a venir bruciata o in qualche discarica?».
«No no, non in quel senso, intendo proprio il film che il protagonista era una ruota, un ruota assassina».
«Ah, ok, non lo conosco».
«Ma sì, certo che lo conosci, come hai fatto a non sentirne parlare?, anni fa non si parlava d’altro».
«Ma dov’è che non si parlava d’altro? In quali salotti, in quali piazze, in quali metropolitane, locali, tramvie, di quali città?».
«Ma sì, dappertutto».
«Eh no, non ce l’ho presente quello della ruota assassina».
«Vabbé dai, copiati questo dalla mia pennetta usb, ti dico che il regista è un genio assoluto, e non è neanche questo qui dei poliziotti il suo film migliore, ma un altro ancora».

Ecco se tu dovessi per caso avere un amico figo allora ti dirà grosso modo queste cose, queste stesse cose che ti sto dicendo, ma se tu questo amico non ce l’hai, facciamo finta che sia io quell’amico, e che te lo sto dicendo adesso.

Standard
In fuga dalla bocciofila

Birdman | Odeon Bistrò

Prima, quando si guardavano i film doppiati, era tutto un:

«I film doppiati? Non si possono vedere! È una cosa contro natura, senti che voce gli hanno messo, poi ti rendi conto l’assurdità, come se uno che abita in Colorado parlasse in italiano, ma che c’entra? E ancora più patetici quando vanno a inserire differenti dialetti italiani per restituire inglesi di differenti nazionalità e provenienze. Ci hanno fatto credere che in tutto il mondo parlassero l’italiano, in un certo senso è il sogno di Mussolini dell’impero, l’istituto Luce, che ancora vive. La verità è che c’è una lobby segreta dei doppiatori che ha in mano la nostra vita, controlla l’uscita dei film in questo nostro minuscolo paese alla deriva, questa è la verità, e in definitiva i doppiatori di film saranno anche bravi, e quelli italiani i migliori del mondo, come dicono, ma secondo me, quando stanno nei loro studi di registrazioni al buio e doppiano, lo sanno anche da soli che è tutto inutile, una battaglia persa, che non c’è futuro nel mondo del doppiaggio. E sono disperati».

Ora, che invece guardiamo solo ed esclusivamente film sottotitolati, è tutto un:

«Certo che i sottotitoli scritti in giallo non si potevano vedere. Che poi, a essere sinceri, questi sottotitoli li ho trovati lievemente imprecisi, non ti pare? La non corrispondenza tra il parlato originale e quello che ogni tanto -raramente- scorgevo sotto, quando ogni tanto buttavo un occhio sotto, ecco, mi creava un disagio. A te non creavano disagio quelle inesattezze?»

Stravaccati all’Odeon Bistrò. La persona che ho di fronte muove le mani ad accompagnare la frase, e nel fare così urta il suo French Connection che tiene davanti. Osservo le gocce di quello che non sembra essere una soluzione di amaretto e cognac ma piuttosto di amaretto e whiskey così che improvvisamente mi rendo conto con autentico terrore che non si tratta del cocktail che credevo ma di una sua variante che prende il nome di Godfather. Lo scopro guardando sul telefono senza farmi notare. La mia espressione, un occhio lievemente socchiuso, l’altro ben aperto e un sopracciglio verso l’alto e uno verso il basso a formare una svastica. La mia replica, qualcosa che non c’entra niente, come se non avessi sentito una sola parola di quel discorso:

«Sì, il film mi ha fatto pensare a una sorta di ossessione da Synecdoche, di una sfida al vertice, con Kaufmann, io poi francamente non so se questa sfida Iñárritu (pronunciando la gn alla spagnola) l’abbia vinta, ma nel dubbio, ti direi di no. E dimmi, com’è il tuo Godfather? Sembra ottimo».

Standard
In fuga dalla bocciofila

Hungry hearts | Tu non hai fame?

Il salumiere di via Romana termina di arrotare il coltello con estrema lentezza, benché ci siano già quattro o cinque clienti che attendono e rumoreggiano. Cosa farebbero questi, se solo al di là del banco ci fosse un impiegato delle poste e non un uomo con un coltello?

«Prossimo», urla il salumiere, ma nessuno prende la parola. «Novantasei, diobono» puntualizza ancora l’uomo, accalorandosi subito nel volto.

«Eccomi, sono io», dice una ragazza con i capelli ricci.

«Via signorina, acceleriamo le operazioni».

«Vorrei del prosciutto».

«Non ci siamo signorina, mi deve dire qualcosa in più. Come lo vuole: crudo, cotto, stagionato, casalingo, salato? Mi dica, mi dica».

«Sa, io non me ne intendo, sono vegetariana».

«Ah, benissimo, la signorina qui è vegetariana. E che se ne fa del prosciutto, mi dica, ci concima l’orto?».

«No, vede, è che stasera con il mio compagno prepariamo delle crêpes».

«Ah, poteva dirlo subito bella signorina. Allora le ci vuole il cotto, ecco quello che le ci vuole. Quanto gliene affetto?».

«Tre etti».

«Benissimo signorina, così mi piace, bella decisa».

Il salumiere affetta con estrema lentezza, come un maestro di cerimonie, come un massone abbraccerebbe un confratello, come un muratore un pontaio. Fette sottili come fogli di carta velina, carta da origami.

«Ecco qua, tre etti e mezzo, lascio?».

«Lasci, lasci».

«Sa una cosa signorina bella? Le farò una confidenza: nella nostra famiglia siamo tutti vegetariani, non ci crederà, ma è così. Lo siamo diventati. Prima ne mangiavamo parecchio di prosciutto come questo, sa? Poi la bambina, aveva sette anni, le son cominciate a spuntare le tette. A otto anni le è comparso un terzo capezzolo. Così sono andato da un naturopata, questi mezzi dottori fricchettoni, che mi ha detto: O la fate finita di dar tutto quel prosciutto alla bambina o sarà costretto ad abbatterla. Così mi disse».

«Ah».

«Prego signorina. Desidera altro? C’ho della finocchiona che è speciale».

«No, grazie, sono a posto».

«Il prossimo allora, a chi stiamo? Novantasette. Forza signori, non siamo mica alle poste qui».

Standard
In fuga dalla bocciofila

Barry Lyndon | Bombe allo Yab

Mentre contavo mentalmente quante volte nel film si ripeteva la parola “proper”, adeguato, corretto (sono tredici volte) mi rendevo conto con la chiarezza delle scoperte negative che i bassi che sentivo di sottofondo non erano parte del film. C’era stato un momento in cui io non lo sapevo se fossero rumori del film, se fosse una cosa voluta, ma poi dopo un po’ avevo cominciato a sperare che fossero del film. Bruttissimo segno. Invece era soltanto la discoteca del cazzo YAB, ubicata giusto a lato al mio cinema preferito numero due. Erano i bassi del cazzo della discoteca demmerda dello Yab, del loro lunedì sera discotecaro. Possibile, mi chiedevo, che ci fosse gente che facesse serata non dico di mercoledì, ma di lunedì? Gente che proprio mentre io sentivo suonare Schubert stava bevendo un gin tonic? Sì.

Ho perso il mio lato zen: un tempo ero pacificato, è il lavoro che mi ha indurito, e penso il male di chi mi fa male, un tempo cercavo di evitarlo. Guardavo la parabola discendente di Redmond Barry e pensavo solo a ordigni, a costruzioni piriche posizionate davanti all’ingresso della discoteca, un semplice avvertimento. Poi, dopo l’inutile cordata di solidarietà da parte della società civile connivente, l’enorme esplosione. Il massacro. In cui perdeva la vita anche il mio vicino di pianerottolo, noto frequentatore del suddetto luogo, che di solito ritorna a casa urlante verso le quattro, in quello che ormai è a tutti gli effetti il martedì mattina.

Standard
In fuga dalla bocciofila

Nymphomaniac (Parte Uno) | Scandaloso veramente

Si sarebbe potuto intitolare Aerophagy, o Tympanites (meteorism) e sarebbe cambiato niente: la storia di una ragazza che soffre di accumulo di gas intestinale. Il riferimento culturale con cui si sarebbe aperto il film sarebbe stata la frase di Dante: Ed elli avea del cul fatto trombetta. Chiaramente in bianco su sfondo nero, dopo un minuto abbondante di buio assoluto e nessun suono. Perché adesso siamo nella mani di Lars. Brrr, sai che paura.

Poi come dicevo quella scritta dantesca e il rumore prolungato di una pernacchia o quella che avremmo potuto scambiare per una pernacchia, ma che era ovviamente altro. Cha scandalo!

Il film di Lars Von Trier si apre invece con una frase che ci spiega come l’avrebbero ancora una volta censurato, che quella è solo una versioncina corrotta del suo capolavoro, che lui un pomeriggio che era impegnato a fare altre cose ha deciso magnanime di approvare, ma che non la riconosce come opera sua. Ora, delle due l’una, pensavo io, che finalmente potevo dire quella frase che sento dire da anni e non so mai come usare.

Poi appunto si installava in me quel pensiero dell’aerofagia al posto della ninfomania e il film mi scorreva in parallelo, fino all’uscita e i relativi commenti entusiastici.

Standard
In fuga dalla bocciofila

L’amore bugiardo – Gone girl | Livelli

Lui aspira una sigaretta di marca mai vista, e espira una nuvola di fumo sopra la testa di lei. Lei chi? Un’argentina, capitata là chissà come, amica di un’amica. «No», dice lui, «il film non mi interessava. Si parlava di media, capisci, di come certi programmi televisivi deformino le realtà, creino delle narrazioni, capisci: è qualcosa che a me non interessa». Aspira e espira ancora una boccata, lei è pronta a ricevere la nuvola di fumo dritta in faccia, ma ancora una volta, lui la risputa sopra di lei. «Sì, capisci, quando una persona vive lontano da certe dinamiche, vive ad altre latitudini, questo argomento passa naturalmente in secondo piano. Capisci bellina, la vita a volte si guarda, a volte si vive. E comunque ultimamente riesco a vedere solo film francesi».

Krzysztof tamburella sul bracciolo in condivisione con la moglie, seduta accanto.
«Che c’è?»
«C’è che questo l’ho già fatto io»
«Ma di che parli?», dice Maria.
«Questo Gone Girl, a parte il titolo che suona un po’ cacofonico, l’ho già fatto io e si chiamava Film Bianco»
«Ma che dici caro, stai disturbando tutti, fai piano»
«Sì, l’ho fatto già io e l’ho fatto meglio. Si parlava di rapporti, di matrimoni che finiscono, di perdita del desiderio, della ricerca del desiderio perduto, dell’amore. Lo dicevo già io vent’anni fa e lo dicevo meglio, maledetto Fincher».

«Sai che penso? Penso che non mi convince, non dico il primo livello di lettura, né il secondo livello del matrimonio come messa in scena, come teatrino che poi si finisce per accettare. Mi è piaciuto, ma non mi ha stregato. Come con The Social Network, io una volta uscito dal cinema non ho cancellato il mio profilo Facebook, semmai ho guardato se c’erano notifiche».
«E questo che vorrebbe dire?»
«Vuol dire che Fincher fallisce. Che il film contro il rapporto di coppia non arriva al suo scopo.
Se Fincher voleva farci lasciare a me e Diana non c’è riuscito, a lei è venuto solo un suo attacco di tosse nervosa, ma insomma poi è tornata a sedersi nel cinema accanto a me. Già, poi è tornata a sedersi accanto a me».
«Beh, ma scusa, ma se Diana torna a sedersi accanto a te e la protagonista torna da lui, beh, allora direi che il film ne esce rafforzato. E se, scusami se insisto, se uscito daSocial Network tu vai a guardare gli aggiornamenti di stato, beh, anche in questo caso l’ha avuta vinta lui, mica te».
«L’hai rigirata bene la faccenda, proprio come ti faceva comodo».

«Ecco come la vedo io cari miei: che i media dicono il vero, che Barbara d’Urso ha totalmente, totalmente, ragione, e lo dimostro: quando verso la fine Ben dice a Barbara D’urso: “Ti rendi conto che stronza sei? Mi hai perfino accusato di trombarmi la gemella, solo perché suonava bene il titolo: I gemelli incestuosi, ma ti rendi conto?”. Ebbene in verità il film conferma che anche questo sarebbe vero, con le lacrime della sorella gemella, quando il fratello Ben Affleck sceglie di rimanere con la moglie…»
«Che cavolo stai dicendo?»
«Dico che i media presentano Amy solo apparentemente come una vittima: la tipa dell’albergo che la deruba l’ha capito eccome che lei una stronza. E non l’ha capito perché ha la verità infusa, l’ha capito guardando la televisione».
«Embé?»
«I media dicono il vero. Questo è l’ultimo livello di lettura».

Standard
In fuga dalla bocciofila

Yes Man | Volere il niente piuttosto che non volere

Jim Carrey, un amico, un padre per tutti noi. Di più: un modello.

Se ne sta sul divano, non c’ha voglia di fare un cazzo, gli va tutto male. Anzi nemmeno male, grigio. Dice sempre no, non esce mai in Piazza Santo Spirito, se ne sta in camera o sul divano a leggere tutti i racconti di uno scrittore israeliano che non va neanche di moda, che andava di moda dieci anni fa. Aspettando.

Poi un giorno va a questo incontro motivazionale, la storia è risaputa, e lo convincono che, se dirà sempre e solo sì, l’universo inizierà a complottare a suo favore.

Vola tutto, vitalismo, presobenismo, i primi dieci minuti. Poi il film si incrina, per quanto si sforzino, e si incrina per una serie di questioncine non collaterali ovvero che la stessa idea era già stata usata, identica, in Una settimana da Dio, e, sempre con gli stessi attori, anche in Bugiardo bugiardo, dove, rispettivamente, il protagonista si trovava a 1) fare qualsiasi cosa egli volesse e 2) non poteva mai dire le bugie.

Così il film o meglio, i films, scivolano da un certo momento in poi su binari piccolo borghesi/aristotelici che ci ricordano che il giusto mezzo, il niente, è preferibile al non volere e certamente più facile/giusto della totalità, che invece ha un prezzo enorme: ma io lo so che è a quello che dobbiamo puntare.

Fanculo film del cazzo.

Non l’ho manco finito.

Standard
In fuga dalla bocciofila

Ritorno a l’Avana | Differenziare

Tornato a casa dopo il film sono andato a riprendere dal cestino il giornale che avevo buttato via giorni fa, perché mi ricordavo che se ne parlava. Del film intendo.

E’ passato Lapo e mi ha trovato là così, con i fogli tutti spiegazzati in mano, mezzi rotti, accartocciati: – Mbé, che fai? Leggi le notizie?

Non si era accorto di niente, che il giornale era quello vecchio, che lo tenevo in mano ma gli occhi erano immobili. Era stanco Lapo, e quando è stanco gli vengono le rughe in fronte, longitudinalmente, ma solo quando è stanco. Ne aveva moltissime.


Gli ho risposto per educazione, anche se era già a lavarsi i denti e non si aspettava nessuna risposta:

– Leggo cosa dicono del film, il film che ho visto stasera.

– Ah. E che dicono?

– Dicono più o meno le cose che dicevo anche io, ma le dicono peggio.
Lui ha fatto: – Ah ah.
Io scherzavo, non era vero che le dicevo meglio e non erano le stesse cose. Era così tanto per dire qualcosa di veloce che Lapo era talmente stanco, come avrebbe fatto a sentire non dico il mio commento, ma addirittura quello che si diceva nel giornale in relazione a quello che era il mio commento?

E comunque non lo so cosa si dicesse in quell’articolo, non seguivo, ero distratto, perché c’erano di sottofondo troppi rumori, c’era la radio accesa, c’era Lapo di cui non sapevo più niente, in bagno che si lavava i denti, c’era lei di là che aspettava che io andassi di là. Così ho lasciato perdere.
Potrei riprendere il giornale oggi, che ne scrivo, riprenderlo una seconda volta dal sacchetto della carta completamente pieno e che nessuno butta via, potrei riprenderlo in mano adesso e leggere con calma che non c’è nessuno in casa, ma so che non lo farò.

Standard