In fuga dalla bocciofila

L’amore bugiardo – Gone girl | Livelli

Lui aspira una sigaretta di marca mai vista, e espira una nuvola di fumo sopra la testa di lei. Lei chi? Un’argentina, capitata là chissà come, amica di un’amica. «No», dice lui, «il film non mi interessava. Si parlava di media, capisci, di come certi programmi televisivi deformino le realtà, creino delle narrazioni, capisci: è qualcosa che a me non interessa». Aspira e espira ancora una boccata, lei è pronta a ricevere la nuvola di fumo dritta in faccia, ma ancora una volta, lui la risputa sopra di lei. «Sì, capisci, quando una persona vive lontano da certe dinamiche, vive ad altre latitudini, questo argomento passa naturalmente in secondo piano. Capisci bellina, la vita a volte si guarda, a volte si vive. E comunque ultimamente riesco a vedere solo film francesi».

Krzysztof tamburella sul bracciolo in condivisione con la moglie, seduta accanto.
«Che c’è?»
«C’è che questo l’ho già fatto io»
«Ma di che parli?», dice Maria.
«Questo Gone Girl, a parte il titolo che suona un po’ cacofonico, l’ho già fatto io e si chiamava Film Bianco»
«Ma che dici caro, stai disturbando tutti, fai piano»
«Sì, l’ho fatto già io e l’ho fatto meglio. Si parlava di rapporti, di matrimoni che finiscono, di perdita del desiderio, della ricerca del desiderio perduto, dell’amore. Lo dicevo già io vent’anni fa e lo dicevo meglio, maledetto Fincher».

«Sai che penso? Penso che non mi convince, non dico il primo livello di lettura, né il secondo livello del matrimonio come messa in scena, come teatrino che poi si finisce per accettare. Mi è piaciuto, ma non mi ha stregato. Come con The Social Network, io una volta uscito dal cinema non ho cancellato il mio profilo Facebook, semmai ho guardato se c’erano notifiche».
«E questo che vorrebbe dire?»
«Vuol dire che Fincher fallisce. Che il film contro il rapporto di coppia non arriva al suo scopo.
Se Fincher voleva farci lasciare a me e Diana non c’è riuscito, a lei è venuto solo un suo attacco di tosse nervosa, ma insomma poi è tornata a sedersi nel cinema accanto a me. Già, poi è tornata a sedersi accanto a me».
«Beh, ma scusa, ma se Diana torna a sedersi accanto a te e la protagonista torna da lui, beh, allora direi che il film ne esce rafforzato. E se, scusami se insisto, se uscito daSocial Network tu vai a guardare gli aggiornamenti di stato, beh, anche in questo caso l’ha avuta vinta lui, mica te».
«L’hai rigirata bene la faccenda, proprio come ti faceva comodo».

«Ecco come la vedo io cari miei: che i media dicono il vero, che Barbara d’Urso ha totalmente, totalmente, ragione, e lo dimostro: quando verso la fine Ben dice a Barbara D’urso: “Ti rendi conto che stronza sei? Mi hai perfino accusato di trombarmi la gemella, solo perché suonava bene il titolo: I gemelli incestuosi, ma ti rendi conto?”. Ebbene in verità il film conferma che anche questo sarebbe vero, con le lacrime della sorella gemella, quando il fratello Ben Affleck sceglie di rimanere con la moglie…»
«Che cavolo stai dicendo?»
«Dico che i media presentano Amy solo apparentemente come una vittima: la tipa dell’albergo che la deruba l’ha capito eccome che lei una stronza. E non l’ha capito perché ha la verità infusa, l’ha capito guardando la televisione».
«Embé?»
«I media dicono il vero. Questo è l’ultimo livello di lettura».

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Yes Man | Volere il niente piuttosto che non volere

Jim Carrey, un amico, un padre per tutti noi. Di più: un modello.

Se ne sta sul divano, non c’ha voglia di fare un cazzo, gli va tutto male. Anzi nemmeno male, grigio. Dice sempre no, non esce mai in Piazza Santo Spirito, se ne sta in camera o sul divano a leggere tutti i racconti di uno scrittore israeliano che non va neanche di moda, che andava di moda dieci anni fa. Aspettando.

Poi un giorno va a questo incontro motivazionale, la storia è risaputa, e lo convincono che, se dirà sempre e solo sì, l’universo inizierà a complottare a suo favore.

Vola tutto, vitalismo, presobenismo, i primi dieci minuti. Poi il film si incrina, per quanto si sforzino, e si incrina per una serie di questioncine non collaterali ovvero che la stessa idea era già stata usata, identica, in Una settimana da Dio, e, sempre con gli stessi attori, anche in Bugiardo bugiardo, dove, rispettivamente, il protagonista si trovava a 1) fare qualsiasi cosa egli volesse e 2) non poteva mai dire le bugie.

Così il film o meglio, i films, scivolano da un certo momento in poi su binari piccolo borghesi/aristotelici che ci ricordano che il giusto mezzo, il niente, è preferibile al non volere e certamente più facile/giusto della totalità, che invece ha un prezzo enorme: ma io lo so che è a quello che dobbiamo puntare.

Fanculo film del cazzo.

Non l’ho manco finito.

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Ritorno a l’Avana | Differenziare

Tornato a casa dopo il film sono andato a riprendere dal cestino il giornale che avevo buttato via giorni fa, perché mi ricordavo che se ne parlava. Del film intendo.

E’ passato Lapo e mi ha trovato là così, con i fogli tutti spiegazzati in mano, mezzi rotti, accartocciati: – Mbé, che fai? Leggi le notizie?

Non si era accorto di niente, che il giornale era quello vecchio, che lo tenevo in mano ma gli occhi erano immobili. Era stanco Lapo, e quando è stanco gli vengono le rughe in fronte, longitudinalmente, ma solo quando è stanco. Ne aveva moltissime.


Gli ho risposto per educazione, anche se era già a lavarsi i denti e non si aspettava nessuna risposta:

– Leggo cosa dicono del film, il film che ho visto stasera.

– Ah. E che dicono?

– Dicono più o meno le cose che dicevo anche io, ma le dicono peggio.
Lui ha fatto: – Ah ah.
Io scherzavo, non era vero che le dicevo meglio e non erano le stesse cose. Era così tanto per dire qualcosa di veloce che Lapo era talmente stanco, come avrebbe fatto a sentire non dico il mio commento, ma addirittura quello che si diceva nel giornale in relazione a quello che era il mio commento?

E comunque non lo so cosa si dicesse in quell’articolo, non seguivo, ero distratto, perché c’erano di sottofondo troppi rumori, c’era la radio accesa, c’era Lapo di cui non sapevo più niente, in bagno che si lavava i denti, c’era lei di là che aspettava che io andassi di là. Così ho lasciato perdere.
Potrei riprendere il giornale oggi, che ne scrivo, riprenderlo una seconda volta dal sacchetto della carta completamente pieno e che nessuno butta via, potrei riprenderlo in mano adesso e leggere con calma che non c’è nessuno in casa, ma so che non lo farò.

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Boyhood | Autosfiction

A intervalli regolari loro hanno continuato a incontrarsi, all’inizio lui non era che un bambinetto!

Oggi quel bambino è quasi un uomo.

Ma anche lui a riguardarsi indietro, guarda all’epoca che pellina intorno agli occhi! Non una mezza zampa di gallina.

Ogni tre quattro anni lo chiamavano dall’ufficio di produzione e gli dicevano:

– Ehi Ethan, come sei messo nel fine settimana? Ci sarebbe da fare due riprese a Austin.

– Vai, non ti preoccupare, non c’ho un cazzo per le mani, passa il tempo e te non ci fai caso, se non fosse per questi film, eh?

– Eh già Ethan, ma su di te il tempo scivola, c’hai una pellina, eh?

– Già. Mi curo molto, uso delle creme.

– Ah sì, creme?

– Creme per il contorno occhi.

– Capisco. Nivea?

– No, macché, roba costosissima.

– Capito.

– Sì.

– Poi ti direi anche che ho come l’impressione che ci sono una decina d’anni, sì, direi dieci anni, in cui un uomo non cambia affatto.

-Mm

– Sono stato a Parigi, a girare un film tipo il vostro, solo diciamo più classico, un film romantico, l’hai visto?

– Quella storia prima o dopo dell’alba, qualcosa così Ethan?

– Sì, quella roba là.

– Esatto, uguale come con voi. Mi vedo squillare il telefono e so già di che si parla là. Si tratta di prendere un aereo e tornare a Parigi, io la amo, ci sei mai stato tu?

– Una volta Ethan, mi piacque molto, sì, ma pioveva sempre.

– Già. Comunque ti dicevo di questi dieci anni di sospensione del tempo nella vita di un uomo.

– Ecco che cosa mi dicevi

– Sì, vedi una donna verso i quaranta, anzi direi esattamente ai quarantadue ha un tracollo. Ma per l’uomo è diverso, te ne accorgi anche tramite quel vostro film. Patricia è esplosa! Io adoro Patricia, lo sai di noi? Beh, oggi sembra mia madre.

– Già, è sempre bella Patricia.

– Comunque anche io sono uno sfascio ultimamente.

– Non dire così, le tue creme miracolose.

– Non servono a un cazzo amico, guarda il film, guardateli bene, guarda come mi sono ridotto. Odio questi film, amo fare film, ma questi qua col tempo, questi no, li detesto.

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Snowpiercer | Treni e ippodromi

Nel futuro, non chiarissimo il motivo, tutto sarà congelato e l’umanità sopravvissuta, alla glaciazione, vivrà su di un treno che si auto-alimenta e muove intorno alla terra ghiacciata perpetuamente.

Così Nenad Tomovic guida la rivolta di quelli che stanno in terza classe contro quelli che stanno in prima, poiché non hanno le prese per i computer e il cibo non è buono.
Il film rasenta l’inguardabile, ma forse riesce miracolosamente a salvarsi. Secondo me.
A Lapo ha fatto schifo, mentre Lorenzino lo salva.

Comunque a me ricordava l’ippodromo, un’epoca lontana quando si andava a ballare laggiù alle Cascine, insomma a bere e ballare chi ballava, e ballare tutti una volta che si fosse bevuto.

Comunque, all’ippodromo c’erano quattro o cinque sale tutte di seguito e se camminavi in linea retta, come nel treno e nel film, incontravi dei mondi lontanissimi tra loro, i truzzi, gli hop hop, i ragghettoni, i dark, tutti all’ippodromo.

Il treno è come il mondo, si dice nel film, e così erano i nostri ventidue: come l’ippodromo.

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Enter the void | At the Indicatore

Come si diceva in un film italiano della mia generazione che ci piacque molto e che poi dovemmo totalmente abiurare, Enter the Void si spiega tutto nei primi dieci minuti, titoli di testa compresi. Così che i restanti cento-quaranta-quattro minuti saranno i più inutili della storia del cinema.

Che poi voglio dire quando mai l’utilità di un film è stato indice di un film?

Infatti io ero e resto a favore di Enter the void. La botta come la descrive Gaspar (Gas) Noé come la racconta bene lui nessuno mai (per restare in tema di film italiani), sopratutto la botta, ma dopo quella vengono le sventagliate, i carrelli, le riprese aeree, le lucette, tutto alla stra-grande.

A volte ci ripenso e mi dico ok, in almeno due situazioni (il cazzo in soggettiva uterina, che spinge, il feto morto a’gratis, la deviazione in aeroplano sul finale) sono qualcosa che forse si poteva evitare, ma che fanno di questa baracconata una baracconata assolutamente dignitosa.

Non che poi dignitoso sia mai stato indice di alcunché.

P.S. (mi chiedo per un attimo, se un giorno io abiurerò ancora, e scriverò qualcosa dove nemmeno oso nominare, dell’abiurato in questione. Non so rispondere, ma è probabile se mi guardo indietro. Ma perché poi guardarsi indietro?).

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