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Solo a voi che guardate le mie ultime storie voglio bene

Solo a voi che guardate le mie ultime storie voglio bene,

non le prime.

A voi che arrivate fino in fondo, mi seguite

passo passo nei recessi più superflui o importanti,

a voi che venite dietro di me per sapere cosa facevo quattro anni fa,

nel bagno,

l’altra sera,

la copertina del libro,

l’aperitivo.

Lo so che non vi importa davvero, ma vi perdono

lo so che anche voi che guardate le mie ultime storie

siete solo molto soli o forse nemmeno questo

avete un problema di dipendenza

forse dovreste chiamare l’ottico

quanto è che non controllate la pressione dell’occhio?

E’ un controllo di routine, ma dovreste farlo, in fondo davvero troppe troppe ore rivolgete lo sguardo nei telefoni, non fa bene questa roba, hai mai sentito parlare di radiazioni? Avevi anche comprato gli occhiali con le lenti schermanti raggi V, che fine hanno fatto vallo a sapere.


Solo a voi che guardate le mie ultime storie voglio bene,

ma anche a voi che guardate le prime storie,

anche solo per sbaglio, passando subito oltre

anche a voi voglio bene.

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Lettere di Natale a vecchi amici su una chat WhatsApp da lunghissimo tempo inutilizzata

Cari amici
è la viglia di Natale, aspetto che sia ora di entrare al lavoro e mi prendo qualche minuto solo per scrivere a voi a cui pure non scrivo e non penso mai, o quasi mai, ma che le vigilie di Natale vostro malgrado mi tornate in mente.
Penso alle vigilie di Natale della nostra infanzia e adolescenza, quando hai quell’età che non sei piccolo e non sei grande, e allo stesso modo tutto è tiepido, o almeno sembra: le decisioni, le scelte, tutte quante reversibili, tutte emendabili, sebbene a posteriori chissà, guardando un po’ gli ultimi messaggi scritti su questa chat WhatsApp, potremmo dire che non era veramente così.
“Fa niente, fa lo stesso”, direbbe uno di voi due, con quel suo modo di dire le cose, come alzando le spalle con indifferenza, salvo poi riabbassarle con un sorriso vagamente tragico e sconsolato.
Fa niente, fa lo stesso, se poi quelle scelte e decisioni di allora non erano per davvero reversibili, se non c’era davvero altro tempo oltre quello, mamma mia che discorsi tremendi mi sento fare.
Volevo scrivere tutt’altro, cose allegre, e questo è di nuovo il mio io attuale che parla, gravato da un peso gravitazionale che di certo in quelle vigilie di Natale dei nostri quindici o sedici anni non dovevo avere, quando prendevamo l’autobus, l’1 A o 1 B andavano bene entrambi, e scendevamo alla fermata Duomo, o a quella prima di Via Martelli, entrambe le fermate dell’autobus, chissà se lo sapete, da molti anni che sono state soppresse per la pedonalizzazione del centro. Non farò un canto funebre anche per questo, ve lo prometto.
Ma certo era bello scendere al Duomo, proprio sotto al Duomo, con le facciate annerite per lo smog, non ci importava allora che le facciate fossero scure per tutto quello smog che ci finiva sopra, forse ci mancavano proprio le categorie per capire che era sbagliato, che era brutto. A noi sembrava bello. Arrivavamo da Le Cure, si andava in centro a comprare gli ultimi regali di Natale, si scendeva alla fermata Duomo, o a quella prima, di Via Martelli perché c’era un negozio di musica a cui andavamo sempre, come si chiamava? Non lo ricordo più. Abbiamo comprato parecchia musica, in quel negozio, che oggi è diventato credo un’agenzia turistica, o forse anche quel tempo è passato, oggi non so in cosa è mutato ancora.
Avevamo gusti musicali parecchio diversi, voi due eravate più simili, o almeno a me sembrava così. Molto probabilmente era solo da fuori, dal mio punto di vista, che i vostri gusti apparivano simili, era piuttosto una dinamica mia, di sentirmi sempre escluso, magari se fossi stato più attento avrei capito che i vostri gusti musicali non erano davvero così simili.
E di certo dev’essere così, se poi le vostre vite hanno prese strade così diverse, forse il punto di divaricazione inizia proprio in quel negozio di musica di Via Martelli. Andavamo a comprare a vigilia o nei giorni precedenti al Natale dei piccoli pensieri per le nostre famiglie, o fratelli o sorelle, chi li aveva, o nonni e nonne, che ancora c’erano ancora queste figure così belle e dialoganti con tutto un mondo che veniva prima di noi, sarebbe sì da aprire un bel peana sui nonni, ma lasciamo stare, è pur sempre una chat WhatsApp.
E quindi da via Martelli probabilmente passavamo sotto il Duomo e andavamo verso piazza Repubblica e un altro negozio di musica, Ricordi, e di certo alla libreria Edison, e quasi sicuramente alla Feltrinelli di via dei Cerretani e da lì credo che facessimo una curva verso la stazione di S. M. Novella, ed era finito.
Così piccola e breve era la nostra conoscenza del centro di Firenze, io credo: San Marco, il Duomo, la Stazione e poco altro. Completamente avvolto dalla nebbia era l’Oltrarno, completamente fumosa tutta la zona di San Niccolò, niente, nebbia totale come in quei videogame a cui giocavamo per ore, in territori ancora da colonizzare.
Chissà come dovevamo apparire noi tre da fuori, forse molto simili, sebbene noi ci provassimo a differenziarci un po’, nei nostri stili, vestiti, tagli di capelli. Chissà di cosa parlavamo. Mi piacerebbe riascoltarci parlare, per qualche minuto, chissà quale linguaggio, quali riferimenti che solo noi potevamo capire e che forse oggi ci risulterebbe incomprensibile.

Vi penso, vecchi amici, in questa ennesima vigilia di Natale della mia vita, vi penso lontani e ormai quasi completamente dispersi in vite di cui non so proprio niente, penso anche ai vostri genitori di cui ho un ricordo chiarissimo, sebbene sia quel ricordo là, di quelli che loro furono, vent’anni fa, chissà come sono oggi, non so se voglio davvero immaginarlo, non è quello il punto, però ricordo anche loro, li ricordo con affetto sebbene pochissime parole ci siamo scambiati in quegli anni, sempre sullo stipite di una porta socchiusa, le nostre rispettive camerette, o uscendo per le scale di casa, o magari a prendere qualcosa da mangiare in cucina, sempre pochissime parole ci siamo detti, eppure me li ricordo, me li ricordo bene, non dovevano essere poi molto più grandi di come noi siamo oggi, eppure, che differenza.

Vorrei dirvi che non mi manca quel periodo, che non credo fosse più facile o più felice di come è questo nostro presente attuale. Lo era ugualmente, c’erano altri problemi, ma c’erano eccome. Vorrei dirvi che vi ho pensato stamattina, prima di attraversare il centro a vigilia di Natale per entrare a lavoro, in una libreria vicino alla Stazione che all’epoca non esisteva ancora. E che sebbene non sia molto importante, ma io mi ricordo della fermata dell’autobus al Duomo, e dell’autobus con cui poi tornavamo a casa, nel quartiere Le Cure, delle diverse fermate a cui scendevate voi, di quella fermata a cui scendevo io, me lo ricordo, e me lo ricorderò penso, chissà, finche vivo.

Buona vigilia vecchi amici.

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Come pubblicare un racconto su una rivista

Ciao V., 
provo a rispondere in maniera organica alla tua domanda che riassumo qui un po’ banalizzandola: ho scritto un racconto, a quale rivista lo mando, per cominciare?
Il mondo delle riviste letterarie è un cosmo (c’è anche chi ha provato a mapparle tutte, qui) ci sono alcune riviste a cui scriverai mail insistenti o imploranti e non ti risponderanno mai, altre che pubblicheranno il tuo racconto immediatamente e avrai il dubbio che lo abbiano letto, altre che ti imporranno magari un editing pesantissimo, tanto che alla fine il tuo racconto ne uscirà stremato e irriconoscibile (non cedere! scherzo, a volte ci sta).
In generale sarebbe forse sensato provare a mandare il racconto non a una rivista generica, ma a una in cui ti piacerebbe che fosse pubblicato, a una rivista insomma di cui condividi lo stile, le finalità, il tipo di letteratura che propongono. 

Io ho iniziato a pubblicare racconti su una rivista on line che si chiamava scrittori precari. Com’è andata esattamente per me? Credo che inizialmente mandai qualche racconto a qualche rivista, credo in generale con un esito nullo. Forse erano riviste trovate un po’ per caso, di cui non sapevo niente, magari erano semplicemente riviste molto conosciute e inviai la mia mail in cui dicevo chi ero, e allegato il mio racconto. Le riviste più grosse sono quelle storiche, che un tempo erano riviste cartacee e oggi magari lo sono ancora oppure sono riviste sia cartacee che on-line, o in generale riviste con una storia, riviste su cui hanno pubblicato i cosiddetti “veri nomi” e ancora oggi sono curate da veri nomi. Quelle sono riviste che non pubblicheranno mai il tuo racconto. Ma non il tuo specifico, io temo che in generale non pubblichino contributi che arrivano via mail, a meno che non ci siano delle call in cui chiedono esplicitamente di mandare racconti, o dei concorsi, in generale penso che certe riviste ricevano troppi racconti per poterli pubblicare e anche soltanto per poterli leggere. Nuovi argomenti, Minima e Moralia, Nazione Indiana, (aggiungo anche L’indiscreto), lo dico senza nessun tipo di polemica, sono semplicemente come delle feste a cui troppe persone vogliono entrare, quindi si entra solo su invito o se conosci qualcuno dentro che ti apre la porta. Allora come si fa?
Direi banalmente che ci si affaccia al mondo delle riviste più piccole, tramite quella che è la nostra bolla di conoscenze, magari conosci qualcuno che scrive su qualche rivista, e si prova a scrivere a quelle. Io a una serata al Caffé Notte, conobbi questo tizio alto e ubriaco, Liguori, tramite Vanni Santoni, e poi mandai a lui questa raccolta di racconti dicendo, ciao ci siamo conosciuti l’altra sera, forse non ti ricordi, comunque ti mando questi racconti. Così cominciai. I miei racconti uscivano di mercoledì, e io ero felicissimo. Oggi scrittori precari non esiste più, anzi sono anni che non esiste più, a voler essere un po’ severi con me stesso si potrebbe dire che quando io iniziai a pubblicare i miei racconti il sito era già in una fase tramontante, ma forse le fasi sono sempre tutte tramontanti. Sia come sia. Poi da quella rivista la gente che scriveva là si spostò su altre riviste, alcune esistono ancora oggi, come ad esempio Verde Rivista. Verde Rivista è per me una rivista importantissima, perché direi che la maggior parte dei miei racconti sono usciti là, quindi ne condivido in parte il destino, sebbene io non abbia mai fatto parte della redazione, ho conosciuto i redattori e anzi siamo oggi amici. In generale per me le riviste sono sempre stato un modo per uscire da un giro molto ristretto di persone che era quello a cui potevo arrivare da solo, gli amici o quelli che venivano per caso a sentire un mio reading, un modo per uscire da Firenze, per confrontarmi con gente che scriveva e non viveva nella mia città. Per conoscere gente e anche per farmi conoscere, sebbene poi il mondo delle riviste è un mondo abbastanza chiuso su se stesso, e non direi che il mondo delle riviste sia l’anticamera dell’editoria “seria”. Magari per qualcuno lo è, o lo è stato, ma io penso che sia un mondo abbastanza bello, ma avvitato su di sè in cui ci si conosce, forse, solo tra di noi, in cui l’audience è composta da altre gente che scrive e pubblica su riviste simili. Però malgrado questo rischio dell’autoreferenzialità, il mio giudizio sul mandare racconti alle riviste è e resta positivo, perché è anche un modo per uscire dalla solitudine. Non che la solitudine sia negativa per chi scrive, anzi forse è condizione necessaria, ma se la solitudine è troppa può fare sì che uno la smetta del tutto di scrivere, mentre invece così si è come una specie di gruppo di bici che sale una montagna e tutti insieme un po’ ci si tira l’una l’altro. E così si va avanti e quello che all’inizio è una specie di semplice gioco diventa un’altra cosa, diventa qualcosa di totalizzante e si impara che scrivere è una cosa difficile e estenuante (chissà cos’è scrivere, boh) e come tale ha bisogno di lavoro, costanza, etc. Ma adesso mi sto dilungando e un po’ perdendo.  
Torniamo alla domanda: a chi lo invio un racconto?
Penso a te che ti occupi di poesia e che scrivi poesia, non ho letto il tuo racconto, ma forse potresti mandarlo a Settepagine, che pubblica dei bei cartacei, oppure a Oblique/Retabloid che fa questo concorso 8×8 a Roma dove si incontrano editori e pubblicano un cartaceo dallo stile vagamente in stile secessione viennese.
In generale guarda un po’ quello che fanno queste due riviste che sento le due più vicine a te, e secondo me loro ti potrebbero piacere. Oltre a queste due direi che una rivista molto bella è L’inquieto, curata da Martin Hofer, che fa uscire dei numeri bi-o tri-mestralmente solo on-line con illustrazioni curate e lavora bene anche con l’editing.
Che altro mi viene in mente?
La già nominata Verde Rivista, Stanza251, Narrandom, Malgrado le Mosche, direi queste qui. Ne è uscita una mail fiume, anzi quasi un pippone. Buona giornata V., stai bene
Simone

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Il nuovo video di Jovanotti è una merda, ma non ditelo ai messicani

Siccome si avvicina fine mese e c’è l’affitto da pagare, un biglietto aereo da comprare, l’elettricista per la stramaledetta lampadina del frigo da saldare, io con un colpo di coda cerco disperatamente di fatturare qualcosina.

Mando una mail per quel lavoro di editing, mi arrovello dietro una proposta di lavoro in una libreria del centro, ma solo di domenica, e poi siccome la situazione è irrecuperabile mi risolvo per scrivere un nuovo articolo per Brentano, che non serve a niente. Continua a leggere

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Zanzariera 2018 – Un chant d’amour

Con la fine dell’estate si ripongono negli armadi o nei cassetti della casa non solo le pinne, il fucile e gli occhiali, ma anche tutta quella strumentazione che serve a sterminare le zanzare.

Sono i fornellini, siano essi a piastrina o i più recenti con il liquido, simbolo dei nostri anni che merita di essere considerato. Continua a leggere

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La verità (ultima, assoluta e definitiva) di Niccolò Contessa de I Cani

L’umanità si arrovella sin da quando vi è memoria su grandi domande esistenziali (chi siamo? esiste un’anima? cos’è questo senso di angoscia che stasera ho dentro di me?), senza tuttavia trovare risposte soddisfacenti.

A ogni epoca corrisponde una differente risposta la quale tuttavia si presenta sempre parziale e storicizzabile, cosa che potrebbe farci propendere per il no, che non ci sia nessuna verità, ma solo delle verità parziali o verità minime su cui possiamo accordarci tramite i discorsi.

Invece non è così. Continua a leggere

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