Malta (2011-2012)

Pierna Putrìda (Gamba Marcita)

per G.C.G.

Pierna Putrìda non era mai stato un fenomeno a giocare a calcio. Da cui il soprannome. Si era nella Spagna di fine millennio e il soprannome si incollò a Pierna Putrìda come una seconda natura. Non che avesse davvero una gamba in decomposizione, ma si voleva piuttosto indicare e rimarcare, se poi ce ne fosse stato bisogno, il suo scarso valore calcistico. Pierna Putrìda alla fine non era una persona che si offendesse facilmente e lo capiva anche da sè, senza bisogno di tanti nomi, che non era propriamente quel gran giocatore che avrebbe voluto essere per poi giocare nei campionati di tutto il mondo ed avere donne da sogno e tutti i corollari. E non essere più Pierna Putrìda, pur continuando ad esserlo. Una rivalsa su quei compagni di calcio adolescenti che lo infamavano, ma che un po’ gli volevano anche bene. Perché volevano bene a Pierna Putrìda? Non perché fosse più buono di loro, ma perché era proprio come loro, che si immaginavano prima di dormire a quando sarebbero stati dei calciatori nella Liga e si addormentavano contenti. Continua a leggere

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Fogli sparsi, Malta (2011-2012)

Vitae di coppia

Vitae di coppia (1)

Una scultura fatta di caccole. Cosa vorrà comunicarmi?

Vitae di coppia (2)

Ma che forma ha mai questa scultura fatta di caccole? Astratta. Mh.

Vitae di coppia (3)

Guarda un po’. Ha cominciato a buttare le sue unghie e le sue sculture fatte di caccole nel posacenere. E’ una persona davvero per bene.

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Prato vista dalla Luna

Undicesimo pratese

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Se le cose fossero state diverse e fossimo rimasti a Sesto Fiorentino. In quella piazza che si affaccia sul Despar. Magari avrei un rapporto diverso con le periferie, con Monte Morello e con la Calvana, con le città di Firenze e Prato, magari anche con la letteratura.

Magari fossimo rimasti a Sesto Fiorentino oggi sarei un Dostoevskij. Avrei passato molte più ore a riflettere sulla vita, avrei avuto del tempo libero, sarei diventato un grande scrittore, e questo sarebbe stato bello non tanto per me, ma per la letteratura in generale. Se le cose fossero andate diversamente e in una guerra del passato che mai si è combattuta tra Prato e Firenze avesse vinto Prato, ecco allora Sesto Fiorentino non si sarebbe nemmeno chiamato Sesto, ma Undicesimo Pratese.

A volte penso a come sarebbero andate le cose se fossero state diverse. I nomi e le parole sarebbero stati diversi, questo penso a volte. Più che la sostanza. Ma forse i nomi sono la sostanza e le guerre sono fatte per i nomi.
I dialoghi sarebbero andati così:
«Da dov’è che viene tuo padre? »
«Da Undicesimo Pratese».
«…»
«MBE? Che vuoi da me?»

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Malta (2011-2012)

Ultima pagina di una letteratura minore

I treni quali luoghi del desiderio. Desiderio di essere ascoltati, quando si parla al telefono: di nulla, di cosa si farà l’indomani: l’ufficio, il nulla. Poi commentare, se si è in compagnia. Se invece si è soli, distendere le gambe ben oltre il limite consentito (necessario). Dove sono quei vecchi moralisti di una volta che dicevano ai giovani di sedere diritti o quanto meno di non mettere pantaloni viola, mocassini neri, calzini a righe?

Rimpiango le gallerie, gallerie lunghe kilometri che oscurino la ricezione dei telefonini. Ma devio, mi rendo conto, da quello che volevo dire davvero: I treni quali luoghi del desiderio. Io mi preoccupo per un attimo di chiamate telefoniche di agenti immobiliari maltesi, che violeranno il santuario delle balene con sguardi impropri e commenti che non si possono permettere di formulare. Il desiderio è una cosa che non so e ad Empoli scendono tutti, tranne i più stronzi: quello che parla al telefono e che tutti lo sentano; quello in pantaloni viola, mocassini e calzini a righe; e io qua in fondo che appunto sull’ultima pagina di un libro verdetti che nessuno sentirà.

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San Niccolò (2015- 2017), Verde Rivista

La mano

Nelle tasche dei nostri giubbotti cerchiamo una mano,
non sai quante volte nelle tasche noi cerchiamo una mano.

Tocchiamo un rettangolo di plastica dura e cerchiamo una mano,
a volte non troviamo la mano, è già nella mano.

Molte volte di giorno e di notte, noi cerchiamo una mano
la notte, la mano, è in carica e dorme, appoggiata a una sedia.

Nelle tasche dei pantaloni noi cerchiamo la mano:
che mano? La mano di chi, esattamente cerchiamo?

La mattina siamo soli nel letto e ci chiama una mano
è ora di alzarti, fai presto, canticchia la mano appoggiata a una sedia.

Ci sono dei giorni che nei nostri giubbotti noi cerchiamo una mano
dentro la tasca, felpata, impermeabile, vi stringiamo una mano.

Ci sono altre volte che la mano è una mano.
A volte, in campagna o di notte, la tua mano è una mano.

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Racconti, San Frediano (2013-2015)

Un terribile amore per il meteo

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Mia madre accende il vecchio televisore utilizzando due telecomandi, ma lo schermo rimane nero a lungo e prima si sentono solo le voci. Dopo alcuni minuti cominciano a vedersi le prime figure.

«È vecchia» dice mia madre, «è per questo che fa così. Ma funziona ancora bene».
Ne parla come se parlasse di sé.
All’ora di cena il vecchio televisore acceso e sullo schermo il meteo regionale.
Suonano di sottofondo musiche andine, mentre la voce di un generale dell’aeronautica ci guida nei recessi del tempo atmosferico: il più sottovalutato degli argomenti.
«Proprio un bell’uomo», fa mia madre «il tipo che piace a me» Continua a leggere

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Fogli sparsi

Il privilegio della scrittura

Abito in una strada silenziosa, in cui non passa mai nessuno, ma spesso le persone si fermano proprio sotto alla mia finestra per parlare tra loro. Oppure, se sono da sole, per telefonare a qualcuno. Non so perché accade, so solo che accade. Accade alle ore in cui io sono presente in casa, è ovvio e non potrei dire cosa succede quando non ci sono. Sarebbe possibile indagare, mettere magari delle telecamere e poi dopo ricontrollare, ma non è questo il punto. Continua a leggere

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San Frediano (2013-2015)

Pomeriggio. Poste centrali a pagare una bolletta

Del gas o della luce, non ricordo.
Poi tornavo a casa, passando per Ponte Santa Trinita e mi mettevo nella scia di un muratore che aveva finito di lavorare. Il muratore, con i suoi pantaloni sporchi di polvere e calcina, con le sue scarpe a norma anti-infortunistica, con il suo passo veloce, ma stanco al contempo. Si accendeva una sigaretta e ne respiravo le volute di fumo che a lui si accodavano e andavamo così, ad un andatura simile, quasi all’unisono, come se lui fosse uscito adesso dal suo lavoro e andasse a casa, mentre io circa due ore prima dal mio e dopo fossi andato alle poste centrali a pagare una bolletta, del gas o della luce, non importa ai fini del racconto. Continua a leggere

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