per G.C.G.
Pierna Putrìda non era mai stato un fenomeno a giocare a calcio. Da cui il soprannome. Si era nella Spagna di fine millennio e il soprannome si incollò a Pierna Putrìda come una seconda natura. Non che avesse davvero una gamba in decomposizione, ma si voleva piuttosto indicare e rimarcare, se poi ce ne fosse stato bisogno, il suo scarso valore calcistico. Pierna Putrìda alla fine non era una persona che si offendesse facilmente e lo capiva anche da sè, senza bisogno di tanti nomi, che non era propriamente quel gran giocatore che avrebbe voluto essere per poi giocare nei campionati di tutto il mondo ed avere donne da sogno e tutti i corollari. E non essere più Pierna Putrìda, pur continuando ad esserlo. Una rivalsa su quei compagni di calcio adolescenti che lo infamavano, ma che un po’ gli volevano anche bene. Perché volevano bene a Pierna Putrìda? Non perché fosse più buono di loro, ma perché era proprio come loro, che si immaginavano prima di dormire a quando sarebbero stati dei calciatori nella Liga e si addormentavano contenti.
Pierna Putrìda aveva anche una famiglia che assunse questo nome del figlio, e a volte lo chiamavano così. Pierna, vieni a mangiare. E’ pronta la comida. Così. Pierna Putrìda si segnò ad una squadra di calcio per adolescenti dove giocavano anche altri amici dei campini e il suo soprannome arrivò fino a là. Il tecnico lo mise difensore, perché con quei piedi era buono solo a tirar calci e a fare da muro di sbarramento, a tirar via la palla. E soprattutto correva, Pierna Putrìda, e ci metteva sempre molto impegno. Questo impegno comunque non bastò più e ad un certo punto cominciò a fare molta panchina, come succede sempre, prima dell’addio.
Oggi che tutti quei compagni dei campini e tutti quei compagni di squadra sono disoccupati, o tossicodipendenti, o spacciatori, o affittano case, o lavorano alle poste, ogni tanto si trovano ancora a giocare una partitina, così per ridere e stare un pò lontani dalle loro fidanzate. Ci va anche Pierna Putrìda alle volte. Ma non spesso, che lavora nella ditta del padre ed ha poco tempo libero. Il suo soprannome è rimasto, ma si pronuncia solo quando non c’è o solo per imprecare quando c’è e commette un errore grossolano. L’espressione sopravvive soprattutto quando si vogliono formulare dei confronti tra giocatori. Del tipo: “fa così schifo quasi come Pierna Putrìda”. Ma sono passati gli anni da quei tempi e nessuno è così contento di per sè nel ricordare il passato, che erano tutti più allegri e più spensierati, si addormentavano meglio, come sempre accade.
Eppure Pierna putrìda ama ricordare prima di addormentarsi di una volta che giocò una partita di beneficenza tra la prima squadra locale e una squadra di persone adulte, dove avrebbe giocato il padre di Pierna Putrìda ed altre persone ricche della città in cui vivevano, da cui la beneficenza. Tra quelle persone importanti c’era anche un promettente e giovane ex-calciatore della Liga che di lì a dieci anni sarebbe diventato per non si sa quale congiuntura astrale l’allenatore di una delle squadre più blasonate d’Inghilterra. In questa partita tra Vip e gente normale Pierna Putrìda aveva giocato in squadra con questo ex-calciatore e futuro allenatore, che all’ultimo momento qualche benefattore si doveva esser fatto male o non era venuto. Pierna era contento e si mise in difesa ed era Agosto e tante persone erano venute a vedere allo stadio locale.
La squadra dei Vip perdeva due a tre e il tempo si era fatto breve. Pierna Putrìda era salito nell’area avversaria per un calcio d’angolo che avrebbe battuto il futuro allenatore internazionale. Chiese la palla, Pierna Putrìda, alzando una mano, cosa che non faceva spesso, anzi mai, per non suonare pretenzioso. E il futuro allenatore gli crossò la palla, un cross senz’altro perfetto. E a quel punto Pierna Putrìda segnò il suo gol più bello, della sua carriera di gol casuali, un gol in semi rovesciata, all’angolino alto. Non esultò, perché non sapeva farlo, non ci aveva mai pensato all’eventualità e si trovò a trotterellare verso il centro campo con intorno i suoi compagni di squadra che gli davano delle pacche sulle spalle e in testa. Anche il futuro allenatore si avvicinò a Pierna Putrìda e gli disse solo: Ben fatto Pierna Putrìda.
Pierna Putrìda mi raccontò questa storia una sola volta, perché non ama vantarsi e poi mai più la tirò fuori. E’ una storia vera, con altri protagonisti ed altri luoghi.
30:3:2012