Marco e Anna hanno preso casa al primo piano, nello stesso palazzo dove abita mia madre.
Sono giovani. Anna non so dire, ma Marco mi sono convinto che abbia dieci anni più di me. Non c’è un vero motivo, ma l’ho capito, dieci anni esatti.
Non che li incontri spesso. Vado da mia madre una volta alla settimana, sempre di lunedì, e le volte che ho trovato Marco e Anna per le scale, la possibilità stessa di incontrarli quando arrivo o quando vado, sono poche. Comunque. Una volta sono stato a casa loro, non ricordo perché, ma ci sono stato. Per una questione condominiale? Forse loro si erano trasferiti da qualche mese e io passavo per le scale e mi hanno detto: entra.
Marco è simpatico, lo dice anche mia madre, davvero una persona piacevole, solare, ma a volte le persone simpatiche sono quasi antipatiche. Non so come dirlo meglio. Anna invece è più difficile, meno spigliata, ma potrebbe benissimo essere lei quella dei due che tiene in piedi la famiglia, quella che rende il marito così simpatico. Del resto il mio giudizio potrebbe dipendere dal fatto che l’ho incontrata meno spesso per le scale, e sempre coi bambini. Sì, perché Marco e Anna hanno due figli.
La casa di Marco e Anna è una sola stanza bianca, priva di cassetti e armadi. Tutto è a incasso. Tutto è nascosto dietro a una superficie di muro, se premi nel punto giusto esce fuori un ripiano, e si apre come a molla. Un cassetto, un armadio, un letto. La casa, o meglio la stanza, ha un angolo che quasi non ci fai caso, ma c’è in effetti e divide la casa in due parti indistinguibili. Tutto è bianco. C’è per terra del parquet grezzo bianco a listelle larghe e lisce. In fondo alla stanza c’è una finestra che dà sulla via e là Marco e Anna stendono il grembiule del figlio grande (sei anni) o la tutina del piccolo (due).
Da fuori non te lo immagini come sia casa loro, poi arrivi dentro e ti chiedi dove potrai appoggiarti, ti chiedi dove si sono cacciati i figli, ti chiedi se i due bambini hanno a disposizione solo bianchetti, per dipingere sulle pareti. Ti chiedi tante cose.
Sono architetti, hanno studiato architettura, Anna e Marco, si sono conosciuto in facoltà di architettura. Adesso lui è riuscito a entrare nella scuola, me lo ha detto mia madre e quasi aveva le lacrime agli occhi (pensando a me). Marco, quando mi vede che tornare dall’ufficio, mi chiede in che zona abito ora (in San Niccolò, rispondo) e in relazione a questo mi racconta degli anni in cui frequentava il quartiere (dieci anni fa esatti) perché c’era un distaccamento della sua facoltà. Non è un racconto noioso, ma mi sembra sempre che, da un momento all’altro, mi dirà: tieni duro, non mollare, te e la tua laurea in filosofia.
Di lunedì passo davanti alla porta di Anna e Marco perché mia madre sta al terzo e loro la primo piano e non c’è ascensore e ripenso alla loro casa senza mobili e senza niente, un’unica superficie senza soluzione di continuità.