Cari amici
è la viglia di Natale, aspetto che sia ora di entrare al lavoro e mi prendo qualche minuto solo per scrivere a voi a cui pure non scrivo e non penso mai, o quasi mai, ma che le vigilie di Natale vostro malgrado mi tornate in mente.
Penso alle vigilie di Natale della nostra infanzia e adolescenza, quando hai quell’età che non sei piccolo e non sei grande, e allo stesso modo tutto è tiepido, o almeno sembra: le decisioni, le scelte, tutte quante reversibili, tutte emendabili, sebbene a posteriori chissà, guardando un po’ gli ultimi messaggi scritti su questa chat WhatsApp, potremmo dire che non era veramente così.
“Fa niente, fa lo stesso”, direbbe uno di voi due, con quel suo modo di dire le cose, come alzando le spalle con indifferenza, salvo poi riabbassarle con un sorriso vagamente tragico e sconsolato.
Fa niente, fa lo stesso, se poi quelle scelte e decisioni di allora non erano per davvero reversibili, se non c’era davvero altro tempo oltre quello, mamma mia che discorsi tremendi mi sento fare.
Volevo scrivere tutt’altro, cose allegre, e questo è di nuovo il mio io attuale che parla, gravato da un peso gravitazionale che di certo in quelle vigilie di Natale dei nostri quindici o sedici anni non dovevo avere, quando prendevamo l’autobus, l’1 A o 1 B andavano bene entrambi, e scendevamo alla fermata Duomo, o a quella prima di Via Martelli, entrambe le fermate dell’autobus, chissà se lo sapete, da molti anni che sono state soppresse per la pedonalizzazione del centro. Non farò un canto funebre anche per questo, ve lo prometto.
Ma certo era bello scendere al Duomo, proprio sotto al Duomo, con le facciate annerite per lo smog, non ci importava allora che le facciate fossero scure per tutto quello smog che ci finiva sopra, forse ci mancavano proprio le categorie per capire che era sbagliato, che era brutto. A noi sembrava bello. Arrivavamo da Le Cure, si andava in centro a comprare gli ultimi regali di Natale, si scendeva alla fermata Duomo, o a quella prima, di Via Martelli perché c’era un negozio di musica a cui andavamo sempre, come si chiamava? Non lo ricordo più. Abbiamo comprato parecchia musica, in quel negozio, che oggi è diventato credo un’agenzia turistica, o forse anche quel tempo è passato, oggi non so in cosa è mutato ancora.
Avevamo gusti musicali parecchio diversi, voi due eravate più simili, o almeno a me sembrava così. Molto probabilmente era solo da fuori, dal mio punto di vista, che i vostri gusti apparivano simili, era piuttosto una dinamica mia, di sentirmi sempre escluso, magari se fossi stato più attento avrei capito che i vostri gusti musicali non erano davvero così simili.
E di certo dev’essere così, se poi le vostre vite hanno prese strade così diverse, forse il punto di divaricazione inizia proprio in quel negozio di musica di Via Martelli. Andavamo a comprare a vigilia o nei giorni precedenti al Natale dei piccoli pensieri per le nostre famiglie, o fratelli o sorelle, chi li aveva, o nonni e nonne, che ancora c’erano ancora queste figure così belle e dialoganti con tutto un mondo che veniva prima di noi, sarebbe sì da aprire un bel peana sui nonni, ma lasciamo stare, è pur sempre una chat WhatsApp.
E quindi da via Martelli probabilmente passavamo sotto il Duomo e andavamo verso piazza Repubblica e un altro negozio di musica, Ricordi, e di certo alla libreria Edison, e quasi sicuramente alla Feltrinelli di via dei Cerretani e da lì credo che facessimo una curva verso la stazione di S. M. Novella, ed era finito.
Così piccola e breve era la nostra conoscenza del centro di Firenze, io credo: San Marco, il Duomo, la Stazione e poco altro. Completamente avvolto dalla nebbia era l’Oltrarno, completamente fumosa tutta la zona di San Niccolò, niente, nebbia totale come in quei videogame a cui giocavamo per ore, in territori ancora da colonizzare.
Chissà come dovevamo apparire noi tre da fuori, forse molto simili, sebbene noi ci provassimo a differenziarci un po’, nei nostri stili, vestiti, tagli di capelli. Chissà di cosa parlavamo. Mi piacerebbe riascoltarci parlare, per qualche minuto, chissà quale linguaggio, quali riferimenti che solo noi potevamo capire e che forse oggi ci risulterebbe incomprensibile.
Vi penso, vecchi amici, in questa ennesima vigilia di Natale della mia vita, vi penso lontani e ormai quasi completamente dispersi in vite di cui non so proprio niente, penso anche ai vostri genitori di cui ho un ricordo chiarissimo, sebbene sia quel ricordo là, di quelli che loro furono, vent’anni fa, chissà come sono oggi, non so se voglio davvero immaginarlo, non è quello il punto, però ricordo anche loro, li ricordo con affetto sebbene pochissime parole ci siamo scambiati in quegli anni, sempre sullo stipite di una porta socchiusa, le nostre rispettive camerette, o uscendo per le scale di casa, o magari a prendere qualcosa da mangiare in cucina, sempre pochissime parole ci siamo detti, eppure me li ricordo, me li ricordo bene, non dovevano essere poi molto più grandi di come noi siamo oggi, eppure, che differenza.
Vorrei dirvi che non mi manca quel periodo, che non credo fosse più facile o più felice di come è questo nostro presente attuale. Lo era ugualmente, c’erano altri problemi, ma c’erano eccome. Vorrei dirvi che vi ho pensato stamattina, prima di attraversare il centro a vigilia di Natale per entrare a lavoro, in una libreria vicino alla Stazione che all’epoca non esisteva ancora. E che sebbene non sia molto importante, ma io mi ricordo della fermata dell’autobus al Duomo, e dell’autobus con cui poi tornavamo a casa, nel quartiere Le Cure, delle diverse fermate a cui scendevate voi, di quella fermata a cui scendevo io, me lo ricordo, e me lo ricorderò penso, chissà, finche vivo.
Buona vigilia vecchi amici.
