Prima scrivevo sempre in un bar che si chiama Mama’s Bakery, il caffè americano costa un euro e cinquanta e potevo stare là tutta la mattina. Andavo quasi ogni giorno, tranne quando non avevo neanche un euro e cinquanta allora stavo a casa, ma scrivere a casa mi è difficilissimo. Comunque dopo un anno ho smesso di andare a Mama’s Bakery (figura 1) e adesso scrivo sempre alla biblioteca Thouar in Piazza Tasso, a Firenze. È una struttura abbastanza nuova, io sto sempre in questa altana da cui si vede il viale e la città, siedo sempre nel primo tavolo, di fronte a me viene sempre un nordafricano di mezza età che guarda i film, oppure il mio amico e collega di scrittura Ferruccio Mazzanti. Arrivo quando ancora non c’è nessuno, alle nove, solo i bibliotecari, poi a poco a poco arriva il nordafricano, ci salutiamo, poi Ferruccio, ci salutiamo e poi gli studenti universitari, ci osserviamo (figura 2).
Scrivo dalle nove alle undici e mezzo, poi scendo con Ferruccio alle macchinette a bere un caffè e parlare del futuro e della scrittura e a lamentarci di come siamo messi male e poi vado a lavoro, nel quartiere Novoli, alle poste private. Così diciamo che scrivere oggi mi costa sessanta centesimi o un euro e venti se ho da offrirlo a Ferruccio, e ho risparmiato già trenta centesimi rispetto a un tempo.
Scrivo sempre di mattina, prima di entrare a lavoro, e mai o quasi mai dopo, che sono alienato e triste. Scrivo veramente male nel fine settimana, molto bene durante la settimana (figura 3).
Ci sono volte che ho delle idee spontanee e in quel caso scrivo non saprei dire quando, anche di notte fonda mi sveglio e scrivo, oppure alle sei quando ancora nella casa dormono tutti, ma è raro, è un mezzo miracolo.
Non cammino molto, ma spesso vado in bici con lo scrittore e amico Matthew Licht o da solo, sempre in direzione del Chianti, verso Pozzolatico o Impruneta. Mi piace molto andare in bici, ma d’inverno, questo inverno non sono andato quasi mai e mi sento male fisicamente e depresso, ho avuto troppo da lavorare alle poste, troppi progetti da portare avanti, ma a primavera riprenderò per arrivare preparato alla prova costume.
Sono destrorso, scrivo tendenzialmente al computer.
A volte scrivo anche in pausa pranzo, o mi faccio delle foto che immortalano la mia faccia sconvolta dal lavoro. Il lavoro mi fa schifo, lo dico in generale, non mi piace lavorare, ma penso di essere bravo in quello che faccio, anche se non è quello per cui ho studiato. Non lo faccio per compiacere nessuno, per ascendere in posizioni, mi impegno e basta. Prima non facevo nemmeno le pause pranzo, poi è venuto fuori che le dovevo fare. A volte in pausa pranzo scrivo, ho scritto delle frasi molto buone: “Quante esperienze autenticamente umane in questa pausa pranzo”, credo che nelle pause pranzo, ma questo forse me lo ha insegnato la mia fidanzata Diana, credo che ci sia un verità nelle pause pranzo, che sia possibile vedere, seppur molto difficilmente. Ho visto una volta che cresce del muschio su un albero che sta accanto alla baracchina del lampredotto di Andrea, il Profeta del Lampredotto. Non mi peso mai, ma prima quando fumavo ero più magro, ero magrissimo.
Bevo, ma non sempre, e se bevo troppo vomito, ma non troppo spesso. Quando bevo molto riesco anche a ballare, altrimenti no. Bevo di tutto, ho uno dei miei migliori amici che produce vino e ha provato in questi anni ad educarmi al bere, ma io sono uno che non ha un vero gusto per queste cose, che quasi non ci crede.
La mia scrittura è legata ai libri che ho letto, molto al mio vissuto. È legata al mio corpo ma in un modo che non voglio indagare, mi piace che i miei testi siano oscuri anche a me: non voglio capirmi, non voglio interpretarmi (figura 4).
A volte nel week-end scrivo cose come questa, o finisco o limo dei testi su cui devo lavorare, ma non sono mai soddisfatto perché ho tutto il tempo per rileggerlo cento volte, mentre durante la settimana lo sono, soddisfatto, quando finisco qualcosa o scrivo una parte e poi metto via e vado a lavoro, là mi sembra di aver fatto quanto basta e questa sensazione di completezza dura per alcune ore finché il lavoro non me lo fa dimenticare quasi del tutto, ma in parte io me lo ricordo.
Tutti mi chiedono se ho un romanzo, che sarebbe ora di pubblicare un romanzo, ma io questo romanzo non ce l’ho, ho solo dei racconti brevi o brevissimi e non per questo mi voglio sentire come se mi mancasse un dito della mano (o peggio).
Forse un giorno scriverò un romanzo, ma non per forza, chi lo sa?
Al momento questo romanzo non c’è, tutto qui (figura 5).