La complessità dei Camillas e io là davanti, nell’oscurità a finirmi le unghie.
Sarebbe forse cominciato così il pezzo, e così comincia. Ma poi sarebbe stato tutto diverso, avrei parlato di me, che mi alzavo stanco lo stesso, anche se ero andato a dormire presto e la mattina facevo tutto con calma: arrivare al bar in orario, sedere al tavolo d’elezione, il primo sulla destra, nella saletta quella luminosa e avrei scelto quel tavolo specifico non tanto per una questione difensiva, che da là riuscivo a controllare chi entrava e usciva, così le fiere non mi avrebbero attaccato, quanto tutto l’opposto: per un fatto di aggressione, mia, di gerarchie degli affetti, che quel luogo io me lo sono conquistato. Avrei detto qualcosa del genere e poi avrei parlato della complessità dei Camillas, del loro essere colti, estenuanti, del loro criticare così smaccatamente chi li ascoltava e avrei parlato anche della mia incapacità di avvicinarmi a loro, mentre era stato così facile avvicinarmi a Cristiano che quasi si era avvicinato lui a me. Cristiano che avrebbe suonato prima dei Camillas e mi aveva parlato piano di altre date e di vino, come si può parlare prima di un concerto, con una leggera tensione che poi sarebbe scesa dal suo volto, ma solo dopo, dopo quelle sue canzoni dolci e dopo quelle dei Camillas così complicate che la mattina mi svegliavo e mi sanguinavano ancora tutte le pellicine.
Poi le cose sono andate diversamente, dicevo, e in particolare la mattina io non sono riuscito a svegliarmi e arrivare in orario anche se nessuno mi aspettava, al bar della mattina. Fatto sta che qualcuno si era già preso il mio tavolo, qualcuno che neanche avevo mai visto. Come sia stato possibile questo ritardo non ha niente di strano, sono sempre in ritardo, ma questo specifico è conseguenza di qualcosa che in parte, inconsueto, lo era, ovvero che la sera del concerto avevo fatto tardi, e anche qui tutto normale, avevo fatto tardi al termine del concerto dei Camillas, perché io ero diventato un vero giornalista musicale, anche se per meriti non miei e intenzioni sconosciute, riuscendo quasi a intervistare uno dei Camillas.
Così ho fatto davvero delle domande e non ho appuntato le risposte, ma è stato utile a capire che quasi tutto quello che avevo pensato su di loro, tutta la complessità, l’essere ubriachi, l’aggressione e addirittura l’odio per quel pubblico che rideva alle battute era roba mia, e adesso che ne scrivo qui nel bar e ancora mi titillo le pellicine arrossate ripenso a come sia possibile andare così lontani dal capire, e mi domando anche cosa volesse dire Giulia con quelle parole di sfuggita fuori dal locale, che li sentiva per la prima volta anche se era il suo decimo o undicesimo concerto e non tanto perché non ci si bagna due volte nello stesso fiume, come dicevo io tanto per riempire blandamente un discorso che non capivo o cesellarlo, ma cesellare niente, era tutt’altro, quel suo discorso che poi terminava in un pensiero ulteriore, che forse era lo stesso pensiero o forse non era un pensiero e sarebbe in sostanza la differenza tra fare qualcosa e dirla. Allora Giulia mi prendeva per un gomito e Giacomo le diceva, mentre gli passavamo davanti: Sì, Giuglia, prendi Simone per un gomito e portalo là, e così eravamo davanti ai Camillas e io mi avvicinavo all’altro che rimetteva a posto i cavi e dopo c’era quel suo discorso così calmo, così poco atto a mettere in discussione tutta la mia intera vita.
Allora era il mio viso ad essere disteso e non solo quello di Cristiano, e i Camillas non erano fratelli ma quasi e avevano iniziato a somigliarsi come una coppia e la mattina Toto avrebbe lavorato nella costa est dell’Italia e io, avrei ripensato a quel suo discorso sul successo, quelle sue declinazioni oscillanti tra tirarsi schizzetti di merda addosso o poter arrivare a un pubblico più ampio, ci ripenserò ancora la mattina dopo, qui seduto a un tavolo che non è il solito, al mio bar di elezione, seduto a un tavolo dal quale non riesco a controllare quasi niente a causa della posizione, chi entra e chi esce, in ritardo di circa un’ora su tutte le mie abitudine e quel ritardo poi me lo proietterò sulla giornata, ma sto bene o benino e mi lascio leggermente scivolare sulla sedia, scrivendo di quell’ennesimo martedì da questo mercoledì e stasera ci sarebbe perfino una partita di calcio e dentro la mia testa un’asta, come dentro ai qualunquisti, ma non ne sono sicuro che ci sia quell’asta, per fortuna non lo sono e anche le intenzioni, sempre sconosciute.
26 marzo 2014