Il mestiere del postino ha un santo protettore: Carlo Bukoswki.
I postini si muovono in motorino, coi loro motorini vecchi mezzi scassati che ogni tanto si fermano. Allora si nascondono nei bar o negli androni, dove è fresco. I postini si muovono per la città, l’attraversano, consapevoli o semiconsapevoli che la città gli appartiene, che le strade si aprono a loro, che le scorciatoie, gli incroci, che i lavori al manto stradale, i locali nuovi e quelli che chiudono, si dispiegano a loro, sono come un libro. Poi suonano i campanelli e la gente è scostante, annoiata, ha caldo, ha freddo, è stanca, non lavora, e soprattutto non ha voglia di firmare raccomandate. Oppure non ha nessuna delle cose di prima e ha una enorme voglia di firmare per tutti, anche per i condomini assenti, così da poterli dopo intercettare, scambiare due chiacchiere: l’amministratore di condominio come una promessa di felicità. Io in ufficio attendo i postini e lavoro la loro posta. Postalizzo, che è un verbo inesistente fino a due mesi fa, anche al Devoto Oli. Postalizzo dalle nove alle tre, poi attendo i postini, telefono ai postini se ci sono emergenze, oppure ricevo telefonate dai postini se i loro motorini si sono fermati e le cose si complicano. Io non potrò fare quasi nulla, per loro, ma loro lo sanno che, se io potessi, farei qualunque cosa. I postini sono per me come un cane per il cieco, sono le braccia, il lato diurno di una creatura seduta, che legge nomi di persone e nomi di vie, ma che poi questi nomi non li vede, li potrà al massimo sentire per telefono, se telefoneranno incazzati o stanchi o per contestare qualcosa o perché non hanno ricevuto una raccomandata e allora quel nome diventerà un’entità minacciosa e reale. La mia vita oggi è segnata dalla categoria condominiale, da postini e da francobolli. È il giugno del 2013, è arrivata l’estate, io scrivo un appunto, sul letto, con una canottiera da muratore e dei pantaloncini che uso per yoga. Il computer è surriscaldato: avrei dovuto scrivere su un tavolo, ma non l’ho mai fatto.