Quando ho conosciuto Diana, circa otto anni fa, lei era vegetariana del tipo integrale, cioè non mangiava né carne né pesce, da circa dieci anni. Ci conoscemmo in situazioni abbastanza classiche, a scuola, e continuammo a frequentarci per chissà quale motivo, un mix di intesa sessuale, di interessi condivisi, e per un terzo motivo che adesso non voglio raccontare.
Continuammo a frequentarci dunque, in un’epoca in cui sarebbe stato più normale passare al partner successivo e continuammo a frequentaci durante i nostri rispettivi Erasmus, pratica abbastanza diffusa in una certa epoca storica, in una certa Europa multiculturale che oggi sembra solo un lontano ricordo. Prima passammo del tempo nella città di Madrid, e io la seguii. Poi io andai a Siviglia e lei seguii me. Stavamo dalle parti di Calle Franco, e quel nome per me così neutro, capii solo molto dopo a quale Franco si riferisse.
Studiavamo pochissimo, leggevamo molti libri, facevamo una vita bohemienne che avevamo imparato al cinema. Non avevamo molti soldi, ma di fatto non ci mancava niente. A me personalmente importava solo di avere del tabacco da fumare.
A Siviglia c’era un ristorante giapponese dove mi piaceva andare quando passava il bonifico di mio padre, il ristorante si chiamava … l’ho dimenticato, era esattamente all’inizio dell’Alameda de Hercules e ci portavo anche Diana se non era in Italia a dare un esame per puro caso.
Fu a quel giapponese che lei ricominciò a mangiare il pesce, specialmente il tonno: mangiare quella carne semi-cruda le generava delle scariche di piacere fisico, quasi sessuale. Stavamo là a sedere, mangiavamo tonno crudo, e bevevamo del vino bianco, era così che vivevamo a quel tempo, in ‘Europa; poi andavamo a casa, nella nostra casa fredda di allora, vicino a Calle Franco, senza pensare neanche per un attimo a quale Franco si riferisse, e credo facessimo l’amore, vuoi per l’Europa, o per il freddo, o per l’energia incamerata da quel tonno semi-crudo.
(Uscito su Crapula Club nel febbraio 2018)