C’è un punto, nella casa nuova, in cui se parlo con Diana che è nella stanza accanto, non ci sentiamo. C’è un luogo specifico della casa che ha questa sua capacità intrinseca (negativa) di impedirmi di sentire cosa Diana stia dicendo in quel preciso momento. Riesco solo a sentire un indegno mormorio di frasi sconnesse mentre io sono in quell’angolo della casa e posso solo farle di rimando qualcosa come un semplicistico Sì Sì, che se solo lei decidesse di indagare meglio dove vuole andare a parare scoprirebbe che No, No, non va da nessunissima parte.
C’è un punto della casa nuova in cui siamo andati ad abitare, questa nostra casa che dopo l’estate e le sue finestre aperte, riflette i cieli autunnali sopra e dentro di noi. Il primo autunno in questa casa nuova ci ha fatto capire che il tempo esiste, che la casa è il luogo adatto per le nostre colazioni lunghe, per le nostre intimità stese ad asciugare, per vedere crescere piante sempre verdi, anche vederle ingiallire seppure per definizione non dovrebbero, ma è solo una reazione alle stagioni che pure esistono, ci diciamo.
C’è un punto della casa nuova in cui a volte mi metto a fare le cose e se Diana mi parla non sento la sua voce. Potrei correre il rischio di pensare che questo sia metafora di qualcosa, d’altro, non sia solo un fatto di geometria, di ingegneria acustica, ma sia metafora del nostro rapporto, allora smetto di stare in quell’angolo della casa nuova e propongo a Diana di uscire fuori a prendere uno spicchio di sole, a leggere un libro al Tempio, oppure di andare sulle panchine del Vegni, come se vivessimo ancora nell’appartamento precedente o in quello ancora prima.