per Gianni Melotti
Uomo
dall’apparente
decenza, che raccoglie
da sacchi
d’immondizia il
domenicale
del Sole.
Benedetto Figliolo,
così ti chiamavamo nel cortile di Lettere,
attende su di un cubo pubblicitario.
Attende niente.
Poi la polfer è arrivata e mi ha chiesto il documento.
Mi ha registrato s’un telefono e s’un foglietto di carta. Poi, congedato.
Io volevo dirglielo che ero colpevole, d’esser borghese e della droga assunta nel pomeriggio. I treni in ritardo: avrei voluto spiegare loro che i treni sono tutti in ritardo. Che potendo scegliere sarei rimasto a casa a leggere Tolstoy.
Attendere niente, pure io.
La stazione di notte, la batteria che va giù, la zoppa che si allontana sotto il talamo (ma è solo il correttore automatico, volevo scrivere Talani), i trolley, la prossima pattuglia di carabinieri che si avvicina a me e a Benedetto.
Presto la batteria crollerà del tutto e allora cosa accadrà? Niente più guardare, solo tabelloni luminosi, zoppi, trolley trascinati senza ruote.
Avvertiamo la gentile clientela di non acquistare prodotti contraffatti e di segnalare la presenza di eventuali, eventuali poi, venditori abusivi.
Zoppa, Benedetto, dove andrete stasera dopo che vi butteranno fuori di qui?
Questa stazione è così bella, Pier Vittorio riposa in pace sotto queste lastre di marmo, i treni tutti quanti in ritardo, gli adolescenti, i trolley fanno il rumore di macchine fotografiche usa e getta.
Al binario nove ho visto delle suore, poi due punk, che tornavano dai fine settimana.
Evitare lo sguardo di Benedetto Figliolo, il mio unico obiettivo.