Ho conosciuto Laura Fabiani il 24 Giugno del 2015, lo ricordo perché era il compleanno del mio coinquilino Sabino.
Avevamo organizzato una festa a casa, in questa casa che presto lasceremo. Laura Fabiani è arrivata e indossava un vestito nero e non parlava una parola di italiano. Abbiamo comunicato in spagnolo: Encantado Laura, me llamo Simón, como el Gazpacho.
Tutti quanti erano innamorati di Laura Fabiani, lei entrava nelle stanze e tutti si innamoravano.
Ho chiesto a Marcello, il suo impresario e schiavo, se gli andava di suonarcene una e loro ne hanno fatte tre o quattro in salotto per il compleanno di Sabino (lei stava in ginocchio a cantare con quella sua voce da uccellino, era forse una critica?). Marcello, l’impresario schiavo di lei, suonava la chitarra e faceva i cori. Dan, che un tempo era stato musicista famoso, ora era quello più schiavo di tutti. Stava gettato sul divano e nemmeno faceva schioccare le dita per tenere il tempo, con la sua camicia aperta, stava là buttato su un divano a fumare sigarette senza filtro, la camicia aperta e occhi solo per Laura Fabiani: ma lei chi avrebbe scelto di amare? Magari si sarebbe innamorata di me, pensavo. O del mio coinquilino irreversibilmente trentenne Sabino.
Laura Fabiani, Marcello e Dan Belozoglu sono rimasti a casa (quella casa che lasceremo a fine mese, ma che lasciare sta diventando un dramma: la caparra, la lavastoviglie rotta, la mensilità d’agosto da pagare o non pagare) sono rimasti a casa un fine settimana durante il quale abbiamo provato a non innamorarci di Laura Fabiani e della sua musica.
Poi una sera sono riuscito finalmente ad avvicinarla e a parlarci da solo, tutti intorno ci osservavano, Dan mi mandava dei chiarissimi messaggi con lo sguardo: ti tengo d’occhio, bada bene, e perfino la mia fidanzata Filomena di solito indifferente alle cose del mondo mi guardava come a dire: io e te siamo uguali, dopo sarà il mio turno per far innamorare Laura Fabiani. Solamente Marcello era con la testa altrove, a un vecchio amore del passato o forse sapeva che era impossibile che io la facessi innamorare.
Siamo andati a piedi a quel bar lungo il fiume dove avrebbero fatto un concerto e io e Laura abbiamo finalmente parlato, sempre in spagnolo. Lei mi ha detto di un ruolo per il cinema che avrebbe interpretato nell’inverno successivo, in cui avrebbe recitato la parte di una prostituta fantasma dell’Ottocento, e me ne ha parlato perché io le avevo raccontato una qualche storia sui fantasmi. Avevo ritirato fuori un argomento su cui mi sentivo sicuro per cercare di impressionarla, ma era stata una pessima idea, me ne rendevo conto mentre lo facevo.
Camminando con gli occhi di tutti puntati addosso, riutilizzavo un argomento già usato per tentare di impressionarla e mi rendevo conto che avevo perso la mia occasione.
Ad un bar lungo il fiume con davanti la città illuminata aspettavamo che fosse il loro turno per iniziare il concerto, partiva in loop quella canzone La vie en rose e Laura Fabiani diceva: sembra la Francia. Le lampadine a incandescenza le incorniciavano il viso.
Che la mattina dopo all’alba sarebbero ripartiti era al tempo stesso una pena e un sollievo.