Ho passato le ultime giornate a non fare niente. Cosa non da poco. Alle volte ho cucinato per mia madre. Ho passato molto tempo sul computer, a osservare i lievissimi spostamenti di status, le sottili modificazioni di umore dei miei contatti Facebook e dei loro rispettivi contatti, che sono gli amici degli amici; così che poi, se un giorno li dovessi incontrare per strada, se solo uscissi, magari potrei anche riconoscere. Allora mi fermerei un attimo a pensare: ma dove l’ho conosciuto questo? Non l’ho conosciuto, l’ho solo visto, ma non c’è solo questo. Ho anche letto che cosa ne pensava di un film, di un gruppo musicale, di un certo politico. E certo gli facevano certamente schifo, se sentiva il bisogno di scriverlo. O forse no, forse gli piacevano un casino e ti parlava di una necessità storica, di cicli, di cose così.
A ogni modo io ti incontrerò amico di amico che non ti ho conosciuto ancora. Abbiamo condiviso queste mattine di Febbraio a non fare un cazzo, aspettare la lezione di ashtanga yoga delle sei, il fine settimana, ma anche il giovedì andava bene, oppure aspettare il prossimo colloquio di lavoro pilotato o di partire per l’America, come i vecchi emigranti di una volta, con il passaporto rinnovato da un minuto.