Scrittori Precari, Spagna (2009-2011)

Tornando a casa, o come divenni scrittore

Faccio la strada per tornare a casa con Nati e Camille. L’allungo, la strada: loro vanno in Triana mentre io sarei già arrivato. Allungo la strada e le espadrillas, che a noi italiani suonano così spagnole ma che qui chiamano esparco, mi si impregnano d’acqua perché lavano le strade, la notte, a Siviglia, e le suole sono di corda, e quando arriverò a casa (perché a un certo punto si torna anche a casa) saranno dure e pesanti per tutta l’acqua assorbita semplicemente camminando, andando, tornando a casa. Continua a leggere

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Scrittori Precari, Spagna (2009-2011)

Obesità

A volte mi domando come la gente passi le giornate. È un riflesso, di certo, del mio proiettare nell’universale problematiche particolari, che è come dire mie.
Mann lo direbbe tramite Settembrini, e lo direbbe meglio. Diana direbbe d’altronde che questo è semplicistico e io allora mi vedrei costretto a replicare parlando della semplicistica psicologia maschile, così per escluderla dall’ambito della discussione.
Ci sono questi miei nuovissimi compagni di corso, di cui non so niente, un po’ più giovani di me, poco in effetti, anche se a me sembra tanto, che leggono Nietzsche e non sanno una parola d’inglese, che ricalcano tutti gli stereotipi imputabili a uno spagnolo medio e affermativo, nel senso di ottimista, non è chiaro in cosa, nella loro bruttezza. Alcuni sembrano delle scimmie, su venti ce ne è uno che si salva, anche se a pensarci meglio non si salverà nessuno. Ma non è questo. Mi domando come passano le giornate, solo questo. Come passa le giornate l’obeso che legge Ecce homo e se la ride, inconsapevole che quel libro è scritto contro di lui, ridendo di se stesso. È una risata di risentimento, nervosa, anche se con la sua camicia larga e i pantaloni bianchi ha una posizione certamente disinvolta. E mentre aspettiamo le cinque parla di un’opera, anzi no, di un Requiem, di Verdi credo, mimando col suo corpo il suono dei clavicembali per farsi bello di fronte al professore temibile di Filosofia del Rinascimento. Che lo ignora. Mi chiedo cosa faccia l’obeso che, rapido, dopo il corso delle dodici scivola via, con tutti gli altri relitti del mio corso, e come me aspetta il corso delle cinque, quello col professore temibile appunto. Lo immagino che torna a casa e mangia coi genitori, anzi no, solo con sua madre, guarda la televisione e poi va nella sua stanzina arredata malamente, forse con un poster di Bach appeso (che a conti fatti gli assomiglia), bramando di farsi una sega pensando a Eva Maria, con quella sua faccina da topo, da prima della classe, la più bella del corso: in effetti le ragazze del corso sono due. Eppure non può farsi una sega in quella stanza che la madre riordina, perché è troppo ordinata e pulita, e di sicuro non c’è la chiave. Andrà allora in bagno giustificando con la sua lettura di Nietzsche il tempo eccessivo trascorso lì dentro. Sta bene. Ma anche procrastinando il più a lungo possibile il momento della venuta, sugli occhiali di Eva Maria, rimandando il momento di sospensione in cui lei lo guarda col viso sporco di sborra, se poi sporco lo si potesse davvero chiamare, ebbene resta da capire cosa accadrà nella sua vita in quelle restanti cinque ore. Lo ignoro completamente. È possibile che in quelle cinque ore ci sia tempo (c’è di certo) di farsi, se ne ha forza, un’altra sega, anche questa volta in bagno, tempio di Onan, in piedi, nella doccia (giustificabile per la sua eccessiva sudorazione di obeso), o forse nemmeno in piedi, ma accucciato dentro la vasca o il piatto doccia. Questa volta penserà ad altro, per variare, penserà all’argentina, Melissa, certo bruttina, ma volgare e sguaiata e quindi ipoteticamente più lasciva; in un ipotetico piano immaginario che mai sarà reale sicuramente più abbordabile della cara e summenzionata Eva Maria. Alla quale però tornerà sul finale, stremato, fedele all’immagine mentale di lei grata e appagata, nella sua immagine mentale e reale che lei rappresenta e interpreta. Dopo tutto questo io mi chiedo come possa non fumare, non concedersi una sigaretta, ma invece niente. L’obeso non fuma. Il suo cuore di obeso tornerà dopo l’ennesima schizzata su Eva Maria ai normali battiti sovracelerati di sempre, quelli che un giorno lo uccideranno. Cani, sui divani, con il cazzo rosso di fuori che mi mordicchiano la mano e potrebbero andare avanti per ore. Oscar, si chiama, o Octavio, qualcosa con la O. Mi ha detto Ben che passa le giornate sul divano, con gli occhi tristi, e quando ci sono ospiti mordicchia la mano col cazzo di fuori. Sì. Certo. Ma Omar è un cane. Se comunque l’obeso è un enigma gli altri compagni di classe lo sono ancor di più: l’argentina Melissa non viene al corso del pomeriggio quindi ha certamente tutto il tempo per fare le sue cose (che cosa?), marchette ai vecchi alla stazione di Santa Justa, nelle baracche dietro a Viapol, spompinare sconosciuti nel parco dietro Plaza de España, ancor più improbabile immaginare i pomeriggi di Eva Maria: non ci proverò nemmeno. Mi ha chiamato Diana e le ho chiesto come passasse le giornate e lei mi ha detto di questa sua giornata, tradurre Marías, pranzare con gente di ambiti diversi, subire le avances di uomini (l’Australia, i sorrisi). Dopo penso a mio padre, che si finge operoso, ma che io ho sgamato. Gli spostamenti in auto e motorino sono un modo per procrastinare e riempire in qualche modo le giornate. Ma questo è ingiusto. Mio padre in questo momento sarà nel suo ufficio, starà sbrigando la corrispondenza e spedendo gli ordini davanti al pc, nell’ex studio di mio nonno, ex perché non sopravvissuto al tracollo della classe media. E Diana nella stanza di filosofia, traducendo Marías, con gli occhi dei miei cari amici puntati addosso, sul suo collo, sulle sue braccia, sul suo viso. E poi, quando torno a casa dopo il corso delle cinque, dopo aver aspettato tutto il pomeriggio congetturando sull’obeso in modi che non approfondirò, l’ho vista, l’argentina, Melissa, che usciva dalla cattedrale, con gli occhi abbacinati per il passaggio dall’oscurità alla luce. Forse abbiamo incrociato gli sguardi, forse non mi ha riconosciuto, ma allora ho capito tutto.

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