A volte ci dimentichiamo che abbiamo trent’anni. Trentuno, insomma trenatadue.
Ce ne ricordiamo a intermittenza quando camminando di domenica mattina per Piazza Santo Spirito -avevamo sperato ci fosse la fierucola del biologico, per comperare un pezzo di formaggio, ma invece c’era l’artigianato e torniamo a casa senza nulla, del resto casa nostra è già strapiena di schifezze di ogni genere: come faremo a liberarci di tutta quella spazzatura quando la dovremo lasciare?- incrociamo in quelle domeniche mattine tra la folla della piazza alcuni giovani sconosciuti, che abbiamo visto chissà dove e quando, ma come sono belli i giovani, pensiamo, e improvvisamente ci ricordiamo che abbiamo trent’anni.
Allora, sempre guardando questi giovani, guardandoli di nascosto, pensiamo che loro sono sì giovani, ma lo siamo anche noi, e che tanti anni ci separano da quando saremo grandi. Poi cambiamo pensieri, torniamo a pensare all’appartamento che ci aspetta e ai racconti di Flavio: alle case dei ricchi che visita il nostro coinquilino, di cui ci racconterà al Sabato mangiando dei ravioli comprati alla Conad. Dice Flavio che ci sono delle case che lui non riesce neanche a descrivere, non per una difficoltà sua nello scegliere le parole, ma per un carattere intrinseco di quelle abitazioni: si affacciano sul mercato dei Ciompi, o su Piazza D’Azeglio. Sono agli ultimi piani (le case dei ricchi o sono attici o sono al primo piano, il piano nobile, altrimenti non sono), le case dei ricchi hanno al loro interno oggetti che non si possono nemmeno menzionare (vasche da bagno riconvertite in divanetti, tanto per fare un esempio, o vecchi televisori d’antiquariato, che sono diventati delle fioriere), e bambini, è certo.
Ci sono bambini che sono presenti a quelle cene e ce ne sono altri in arrivo, altri che aspettano solo di nascere, altri invece sono soltanto nel piano-divino di questi ricchi che un tempo perfino lavoravano, ma poi per l’arrivo dei figli hanno semplicemente smesso e ora niente, sono già tre anni che non lavorano, quasi se ne fossero scordati. Un giorno riprenderanno a farlo, quando le cose si saranno un po’ stabilizzate. Sono case enormi, le case che visita Flavio durante la settimana, con cucine incassate, bagni incassati, stanze a incasso dentro altre stanze, è solo una questione di percezione.
C’è molta luce nelle case dei ricchi, ci sono bambini che corrono tutto intorno a queste case lunghe stanze di oltre duecento metri in ogni direzione, a formare un anello, e bimbi che stendono le manine su enormi vetrate, lasciando impronte che verranno cancellate domattina, da donne di servizio che cucineranno anche degli ottimi piatti per farli crescere sani e belli, e magri, che terranno i figli anche a dormire una o due volte alla settimana. Le case dei ricchi pur essendo già enormi, è questione di tempo e le dovranno lasciare, è già deciso, quando arriveranno i nuovissimi figli, quelli ancora non concepiti, quelli del futuro, che nasceranno in anni che ancora non abbiamo mai scritto sui documenti da firmare, che nasceranno nel 2017 nel 2018 o nel 2019, anni che seppure oggi inconcepibili, esisteranno. Figli che saranno i giovani di domani, che noi vedremo aggirandoci con le sciarpe a coprirci i volti nei mercati, la domenica mattina: un giusto compromesso alla nostra età, per non incrociare nessuno, per poter sentire i racconti di Flavio sulle case dei ricchi, al sabato sera, e noi: muti, immobili, con i nostri cinema e letteratura e lavori spacciati, come quei ricchi ma senza le loro case e figli. Noi no, avremo solo quei giovani che ci si muovono davanti, che ci rivolgeranno uno sguardo, a noi o ai nostri fili bianchi di capelli, ci guarderanno con occhi che sorridono come a chiedere qualcosa, che cosa? Noi allora andremo verso casa lanciando un ultimo sguardo a quelle loro caviglie livide, testimoni dell’inverno 2016, che finisce.