Le case degli italiani

La casa di Ele e Leon (senza Ele)

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La casa di Ele e Leon: un quarto piano senza ascensore, di scalini bassi in pietra serena, che in definitiva sono ancora più stancanti di quelli alti. Ci vive una famiglia di zingari al piano terra: i bambini si affacciano alle finestre con le grate e ti guardano, quando passi o quando entro e mi salutano. Sono belli e sembrano anche felici se non fosse per le sbarre che comunque servono a evitare che i ladri (anche gli zingari evidentemente hanno il loro concetto di zingaro), vadano a derubarli a loro volta.
La casa di Ele e Leon: un lungo corridoio che si apre a destra e sinistra, congiunge la camera da letto con un salotto e un cucina. Loro ci stanno già da alcuni anni.
La camera da letto è la stanza più bella. Ci sono tante foto di loro in montagna, oppure che si abbracciano in Azerbaigian e in Georgia. Sulla parete opposta all’ingresso c’è un quadro: è una riproduzione di Eleonora da Toledo, o almeno mi sembra che sia lei. Non so come faccio a sapere chi sia quella donna, ad esempio non saprei mai dire chi l’ha dipinto. Forse me l’ha detto Ele tempo fa, o forse me lo immagino. Sul letto ci sono due coperte, due piumoncini separati, come a dire ognuno ha la sua coperta, siamo una di quelle coppie là, siamo molto molto avanti in fatto di coppia: ma forse è una cosa che dipende esclusivamente dal fatto che hanno temperature corporee diversissime: per l’essere tedesco di Leon e pugliese di Ele.
Sono già alcuni mesi che Ele è partita per New York, ed è in quel momento che io mi vado a visitare la casa per descriverla. Lei è partita per andare a fare un part-time in una galleria d’arte che, da quello che scrive nel gruppo whatsup, si direbbe molto molto cool. Ma non è questo che ora importa. La casa si presenta in sua assenza in un discreto stato di abbandono. I piatti sarebbero la cosa più semplice da notare. La totale vacuità del frigorifero. Facile. I giornali accumulati, la frutta marcita, le carte dei vini semplicemente lasciate dove i vini sono stati scartati (Leon produce vino, quindi capita di bere ottimi vini, e gli ottimi vini molto spesso sono anche ben incartati in delle particolari carte veline).
Ma non sono questi i particolari che più mi attraggono: sono le piccolissime disattenzioni volontarie che fanno capire che Leon sia segretamente in protesta con Ele per quella scelta.
La cenere di una sigaretta nel porta incenso che lei ha preso all’hasram cento km a sud di Goa.
Oppure le pubblicità, gli opuscoli dei testimoni di Geova e gli scontrini che Leon ha lasciato tutto attorno e sopra all’antico testo di storia dell’arte che Ele adora (seppur ci sarebbe da aggiungere che con questo atto di protesta Leon non faccia che confermare la sacralità di certi oggetti). Una prima edizione del 1917 che lei ha preso da un rigattiere a Pittsburgh più di dieci anni fa, e che nessuno può toccare, che solo lei può spolverare. Il volume in questione si riesce appena a intravedere, sotto questa massa di carta informe, di bianco e nero in-riciclabile, sotto queste torri di guardia che preannunciano poco chiare salvezze.
Ele tornerà a breve: è questione di qualche giorno, mi ha detto Leon. Il salotto e la camera da letto a un primo sguardo le sembreranno magari anche in ordine, ma poi, dopo pochissimo, lei si accorgerà che che i ghepardi sono entrati nel tempio. E allora comincerà una guerra terribile, degna di un testo sacro indiano, in cui tutto arderà, l’appartamento intero verrà colpito da pietre incandescenti, e pioveranno lapilli e spade per secoli e eserciti periranno in interi cicli di nascite e morte.
Poi, dopo un certo tempo, Ele e Leon si riappacificheranno, si abbracceranno e voleranno in cielo come uccelli sacri, unendosi e amandosi fino a generare nuovi mondi e nuovi appartamenti.

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