Le case degli italiani

La casa di Paola

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Paola ha sì una casa, ma quando mi fa entrare o quando mi muovo per il suo appartamento, o quando appoggio il cappotto a un appendiabito in corridoio, o quando prendo una sedia e lei insiste perché io ne prenda una più comoda («Mi trovi molto storto, Paola? Intendo posturalmente». «Ma no Simone, è normale, tu sei poeta e i poeti sono fatti così, fisicamente»), quando ancora rimando il momento di sederle accanto, quando guardo da vicino una delle molte stampe e cornici appese alle pareti (ci sono disegni fatti dal figlio anni prima, quando era bambino, oppure degli acquerelli di un architetto inglese, molto belli), o quando entro in bagno e osservo gli alti controsoffitti in legno, e quando poi alla fine di tanti movimenti che sono in fondo i movimenti che si fanno normalmente quando si entra in una casa sconosciuta, io siedo accanto a Paola e parliamo, e la guardo e l’ascolto parlare, sento che in verità la casa in cui Paola vive è tutta diversa da come la vedo io.

È una serie di case sovrapposte, la casa di Paola, sono numerose versioni della stessa, sono situazioni dilatate negli anni, ma non direi che sono solamente gli oggetti che hanno trovato posto al suo interno e che poi si sono rotti oppure che sono passati di moda e sono stati sostituiti, non sono neppure i macchinari che hanno curato per anni i corpi morenti dei genitori di lei e che l’hanno aiutata a posizionarli nei pomeriggi d’inverno di fronte alle finestre della casa, non sono i mobili su cui Paola ha appoggiato alla rinfusa libri e poi i tablet, non è la somma di quei libri, non sono i muri spostati e tolti e imbiancati e cartongessati, non è nemmeno l’insieme delle persone che hanno sceso quelle poche scale negli anni, attraversato il corridoio e seduto accanto a Paola, come me adesso, non è questo che crea l’immagine della casa di Paola. Cos’è allora?

La casa di Paola, una moltitudini di case che si sovrappongono, non c’è altro modo di dirlo.

L’incisione con la data del catasto napoleonico, non in questa casa qui, ma in una a cento chilometri di distanza, dove lei è nata e dove vivevano i suoi bisnonni. I pesanti muri di pietra, poi intonacati, i tetti di ardesia: sono quella stessa casa o un’altra che non esiste più? Di che casa mi parla Paola, quando mi parla?

Poi usciamo nel giardino di piante grasse, il laghetto con i pesci rossi, e mi racconta di una volta che ha dovuto combattere contro un airone reale, che si voleva divorare i pesciolini.

Ecco le case degli italiani, penso mentre mi muovo nel giardinetto ormai buio e saluto e ringrazio Paola, ecco le case sovrapposte. Le case costruite sulle altre, dentro le case, sopra, sotto, a lato, negli orifizi, nelle fessure, delle case. Sono altre case ancora, le case degli italiani, anzi non esistono affatto: sono solo nelle menti delle persone, nelle menti dei figli che scenderanno ancora domani quelle scale, le scenderanno di corsa, a due a due, massimo una volta alla settimana così da redigere, dentro ai loro ricordi, nuovi piani catastali ancora non rilevati, consapevoli di come sia inutile, e che quei numeri scolpiti nella pietra verranno in poco tempo, a loro volta, dimenticati.

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