La casa di Ettore, in campagna, vicino a una chiesa.
Arrivi e la strada fa tutta una curva, poi si apre uno spiazzo davanti:
piazzale lo chiamano quelli che vanno alla messa, e ci parcheggiano l’auto.
La prima cosa che vedi è un pergolato, dipinto di verde, travolto da un albero, tenuto francamente un po’ male, dietro spunta la casa che conta due piani.
Si entra e a sinistra un camino, una cucina economica, un tavolo in legno, nient’altro.
Dei bricchi, dei mestoli appesi, i tegami di rame.
Poi le scale: che belle le scale (fa Ettore) che belle sono le scale davvero e che spreco, delle scale non ci fai niente, son belle e non servono a niente, ci passi attraverso e poi basta, che spreco ripete, ma in verità la vita è tutta così.
Al piano di sopra c’è un bagno, la stanza da letto e un salotto dove chi abitava prima di lui festeggiava i Natali. Poi? Chi abitava prima di lui è morto, davanti ai tre figli minori, ora vivono altrove, i bambini cresciuti diventano grandi.
Ettore e la sua vita nascosta: un orto dietro la casa.
I pulcini, le galline, la solita volpe, ci sarebbe anche un posto per tenere i conigli.
Ettore che forse ha un passato, si dicono in chiesa, o quando arriva in paese una volta ogni tanto, ma qual è questa storia?
Ettore che fa tutto da solo: gli ulivi, il miele e quel poco di vino da tenere per sé.
Dice qualcuno che forse è scappato, che ci sarebbe un segreto.
Ettore dentro la grande casa in campagna, vicino alla chiesa, la chiesa? Cosa c’entra con lui?
Le giornate d’autunno davanti all’ingresso con una faccia triste e decente, si guarda le mani, fa dei movimenti come a schizzare dell’acqua di mare, se solo ci fosse, se solo ci fosse qualcuno a guardare direbbe:
uno scemo.
La casa di Ettore, un mistero di cui non so dire, se c’è oppure no, se scomparire sia qualcosa di indecente o piuttosto normale.
La vita in campagna,
una casa vicino a una chiesa,
una sola vita in campagna,
lontano lontano.