Nei primi anni ’90 spuntarono a casa degli amici dei miei genitori i primi personal computer e capimmo subito che era l’alba di una nuova era. In una mansardina soppalcata ci sfondavamo di Prince of Persia, è vero, delle potenzialità infinite dei nuovi computer usavamo ben poco. “Questo è niente”, ci dicevamo con gli occhi che brillavano per la vicinanza con lo schermo, “è niente rispetto a quello che potremo fare in futuro”, ma intanto giù ore e ore a giocare a Prince of Persia. C’era in ballo una principessa da salvare in un castello, forse ne andava del destino dell’Occidente, non c’era proprio nulla da ridere. E quella musica ripetitiva, come una ghirlanda che si ripeteva sempre identica, incatenandoci e portandoci fuori dal tempo ordinario.
Poi comparve anche nella nostra cameretta, lui, il computer. Prince of Persia era già un lontano ricordo. Sarebbero comparsi nuovi videogiochi con cui sperperare le ore migliori della nostra giovinezza, ma quello che più ci appassionava era Paint. Un tempo usavamo fogli e pennarelli per disegnare, ora cominciammo a dedicare molte, moltissime ore su Paint, disegnando cose, ma per lo più disegnando peni.
Disegnavamo peni al mattino, quando ci svegliavamo, e poi tornavamo a disegnare peni al ritorno da scuola, e via tutto il pomeriggio, fino a sera. Com’erano questi peni? Erano peni di ogni forma e colore: peni eretti, peni enormi, peni barzotti, peni sgonfi, peni grandi come cattedrali gotiche, peni lisci, peni venosi, peni a riposo, orizzontali, verticali, storti, ellittici, triangolari, opalini, aggettanti, anodini, convessi, peni siciliani, peni fosforescenti, peni pronti a esplodere, peni rubizzi, paonazzi, glabri o pelosi. Peni yang e peni yin.
E poi sperma. Sperma che, come un fiume impetuoso, fuorisusciva dall’uretra e volava fino al firmamento; sperma elevata al cielo, sperma come il maestoso Gange sacro agli indiani, sperma che si irrorava dappertutto, che volava sullo schermo, tra miliardi e miliardi di pixel, pronta a generare altri mondi possibili.
Era davvero l’alba di una nuova era, ma allora cosa stavamo esattamente facendo lì?
Oggi viviamo il presente delle intelligenze artificiali con uno spirito, mi sembra, abbastanza simile.
Lo usiamo come un primitivo userebbe una pietra appuntita, per scaccolarsi le dita dei piedi. Sono cambiate le nostre fissazioni, ma forse non è cambiato niente. Quello che oggi mi interessa è fare oscure ricerche che hanno per oggetto la relazione tra Brian Eno, Harold Budd e la cantante dei Cocteau Twins, Elizabeth Fraser. Forse i tre si erano conosciuti? Indubbiamente Eno e Budd avevano composto un album insieme, Ambient Music 2, e Budd e Fraser anche, ma Eno e Fraser si erano mai incontrati? ChatGPT sembra non esserne al corrente.
Io mi spingo oltre, vorrei sapere, insinuo, se tra i tre musicisti non ci sia forse stata una storia sentimentale, non un oscuro o banale triangolo, quanto un bel rapporto maturo, a tre, di stima e sesso reciproco. ChatGPT sembra fermamente convinta del contrario.
No, nessuna attestazione di questo triangolo amoroso. Io non demordo, chiedo se per caso, se può essere solo un caso, che nell’estate in cui Harold Budd si trovava a Lucca, a casa di un amico, e incideva La Bella Vista, anche Eno e Fraser si trovino per circostanze diverse in Toscana: a Lucca per un concerto Eno, Fraser semplicemente in vacanza.
Dunque i tre si sono davvero incontrati? Forse amati? Abbracciati per un attimo sotto le mura di Lucca e poi scappati a cercare riparo in un piccolo boschetto poco lontano, appartandosi e rischiando di essere denunciati — no, a loro in quel momento non importava di una possibile denuncia. Loro si adoravano.
ChatGPT dice che sarebbe bello, che a livello metaforico questo sodalizio è certamente possibile.
“No, ma quale metafora”, insisto io, “questo è possibile, quindi forse è reale.”
“No, mi dispiace”, dice ChatGPT, “è simbolico, ma non reale.”
Le ore passano, la musica ripetitiva nelle orecchie, poi è ora che io esca e vada a lavorare.
