Qui in piazza Donatello resistono due benzinai, fa strano dire resistono due benzinai, perché associamo il termine resistenza a concetti positivi mentre invece il benzinaio racconta di un’epoca di industrializzazione che speriamo col tempo anche di superare, che le auto vadano a energia elettrica, o meglio ancora solare, o con le pale eoliche, o che venga inventata una macchina mondiale completamente nuova, antica, ma nuova, e in conclusione che non ci siano auto come siamo abituati a conoscerle oggi.
Questo attacco vi sembrerà strano, ma vi garantisco che sto per parlare di Volponi, anzi ne sto già parlando, solo in un modo mimetico e non accademico, perché io accademico non sono e non è quello che mi è stato chiesto. Comunque dicevo che qui in piazza Donatello resistono due benzinai, già che in generale in città ce ne sono sempre meno. Qualcuno dirà speriamo resistano ancora per poco, va bene, qualcuno dirà che sono molto più cari rispetto ad altri, anche questo è vero, ma parlarvi oggi, qui, al cimitero degli Inglesi, parlare di uno di questi due specifici benzinai mi sembrava la giusta chiave per presentarvi Volponi, e mi spingo più in là: qualcosa che Volponi approverebbe.
Venendo nel senso di marcia, il mio consiglio è fermarvi al secondo benzinaio, non la sera o di notte, perché c’è il servizio automatico, ma durante il giorno, perché potrete vivere un’esperienza autenticamente volponiana. Ci lavorano infatti due benzinai, fratelli, forse addirittura gemelli, entrambi brasiliani e talvolta c’è anche il figlio di uno dei due, forse figlio di entrambi, che mantiene qualcosa di quello splendido accento del padre e dello zio, ma non è del figlio che ora vorrei parlare, quanto dei due fratelli. Sono brasiliani, e questo mi si dirà non è molto volponiano, (tecnicamente non credo Volponi abbia mai visitato il Brasile), a meno che non si voglia considerare il Brasile, rispetto a Piazzale Donatello, come un posto periferico, lontano, fatato quasi, inerente al passato dei due benzinai, e, arrischiandoci un po’, si potrebbe affermare che in un certo senso il Brasile sta ai due brasiliani come Urbino sta a Volponi.
Paolo Volponi infatti era nato a Urbino, nel 1924, e visse con questo luogo, che poi lasciò, un rapporto di amore e odio. Penso ad esempio al suo romanzo La strada verso Roma, con cui vinse il suo secondo Premio Strega, nel 1991, che racconta la vicenda di Guido, quasi un alter ego dello scrittore, che ama Urbino, ma vuole al contempo lasciarla per realizzare la sua ambizione (la sua ambizione, e forse redimere tutti, ma su questo punto torneremo). Così, mi piace pensare i due benzinai, vivono nei confronti del Brasile, un rapporto di amore, di idealizzazione, ma anche di rifiuto, ora che vivono qua: non tornerebbero indietro, amano il loro lavoro di benzinai, la loro vita è in Piazzale Donatello, Piazza che deve apparire loro come a Volponi appariva Roma o forse Torino, metropoli industrializzate, con tutte le differenze tra Roma e Torino che pure emergono nei libri di Volponi.
Urbino è certamente una delle grandi chiavi per intendere anche la produzione poetica di Volponi, sembra impossibile nella sua lunga produzione poetica, prescindere interamente da quella che è stata la sua infanzia e la sua adolescenza, diciamo meglio la sua giovinezza. Spesso infatti nelle sue poesie troveremo elementi legati agli animali, uccelli, volpi, o al paesaggio, e alle pratiche e alle persone che in quei luoghi hanno popolato l’infanzia e la giovinezza di Volponi. Ne hanno formato il carattere e per così dire definito per sempre la poetica. Non c’è tuttavia una semplice nostalgia, perché lo scrittore sembra vederne tutti i limiti, le problematiche, e queste le considera con la consapevolezza politica e sociale di un uomo del dopoguerra, del boom economico e di come questo boom non abbia raggiunto tutte le zone d’Italia, ma solo alcune, di una promessa disattesa. La prima raccolta poetica, Il Ramarro, scritta ancora ventenne è profondamente permeata da Urbino e dalle zone circostanti, dalle campagne, dalle colline e di nuovo dagli animali. La città è piccola, isolata dal resto d’Italia, da quelle che sono le grandi dorsali dell’industrializzazione, rappresentate sull’asse Milano, Torino, e dal centro di potere, Roma, le città dove in tanti si stanno trasferendo per cercare lavoro e nuove opportunità. C’è chi da Urbino, però, va via e deve andare ancora più lontano: era come è oggi anche una questione di privilegio, quindi chi può permetterselo andrà a Roma, come il Guido del romanzo, o a Torino, come Paolo Volponi, ma c’è anche chi dovrà andare in Belgio, a lavorare nelle miniere, come i contadini delle campagne di Urbino, i proletari. Così, posso dire ora io, le persone che lasciano il Brasile, si dirigono verso differenti destinazioni, e non ha senso indicare quali siano le mete più ambite, di certo l’Italia in questa classifica di luoghi sognati si trova più in basso rispetto agli Stati Uniti o all’Europa del Nord, ma sono congetture di cui so molto poco e lascerei da parte questa metafora, per adesso.
Paolo Volponi non ha avuto con la scuola, un rapporto semplice. Questo si legge nelle sue biografie, termina gli studi a fatica, riesce a laurearsi in giurisprudenza, ma senza entusiasmo; prova insofferenza per il mondo dello scuola, che lo rifiuta, e solo una sua passione individuale e pochi professori, l’amicizia con Carlo Bo, lo aiutano nel trovare una vocazione letteraria che lo accompagnerà per tutta la vita, facendo di lui un uomo che non fa dell’essere scrittore la sua unica occupazione. In questo mi sento dire, sento la chiamata di Elisa a parlare di Volponi, come una vicinanza tra noi, tra me e lui, perché anche per me la scrittura è qualcosa che non esaurisce la mia professione, non l’ha fatto in passato, quando lavoravo in una ditta di poste private, non lo fa oggi, che lavoro in una libreria, e credo non lo farà neanche domani. Questo chiaramente crea una distanza tra l’accademia e Volponi, che pure ha ricevuto tanti riconoscimenti e premi importantissimi, due premi Strega, come lui solo Veronesi, in anni ben diversi, in cui il premio Strega era ed è completamente differente, rispetto al passato, quindi per concludere questo punto, che forse spiega la mia ragion d’essere qui oggi, ne fa una figura non integrata, o non del tutto, quasi un outsider.
C’è però un altra stella polare nella vita di Paolo Volponi, ed è l’industria. Volponi ha avuto un intenso rapporto con Pier Paolo Pasolini, e oltre alla questione della letteratura, mi sembra si possa dire che tra loro ci sia stato un vivace dibattito culturale, finché Pasolini è stato in vita, e in particolare una differente visione su quanto riguarda l’industrializzazione. E qui, tra poco, tornano i benzinai brasiliani. Pasolini, come è noto, è stato il sostenitore della tesi della mutazione antropologica, secondo cui, la rapida e incontrollata industrializzazione, abbia fatto sì che il proletariato abbia assunto (la banalizzo un po’) la forma e i desideri della borghesia, in conclusione perdendo qualcosa della bellezza e della dignità che Pasolini riconosceva in loro. Mi sembra di poter affermare che Volponi abbia in questo senso una visione più ottimistica di quella pasoliniana, cioè che l’industria abbia un potenziale positivo, affermativo, emancipativo, forse questa sua visione è dovuta al fatto che abbia lavorato per vent’anni per Olivetti, che ha fatto sua istanze di un capitalismo, ma diciamo meglio, di un’industria illuminata e profondamente attenta a quelle esigenze dei lavoratori. In questo senso anche l’impegno politico di Volponi, l’aver militato tanti anni nel partito comunista italiano, rappresenta a mio avviso un elemento che denota non la sfiducia e il pessimismo di Pasolini circa la modernità e il lavoro, quanto invece una remota e forse oscura speranza che le cose potessero e dovessero migliorare. C’è in questo qualcosa che parla di quel boom economico di cui abbiamo già accennato, ma anche un nocciolo abbastanza misterioso, che rimane oscuro leggendo Volponi e che parla di Volponi stesso, ma che io ritrovo, pur non conoscendoli affatto, nei due benzinai brasiliani di Piazzale Donatello. Di solito infatti, chi si avvicina a un benzinaio al di là di fare benzina, ma con l’obiettivo di controllare l’olio o la pressione delle ruote, troverà nel tipico benzinaio italiano per lo più una faccia torva e un modo scontroso, quasi a conferma di un oscuro disprezzo e auto-condanna alla marginalità, un modo di fare che invece nei due benzinai brasiliani è completamente assente. Io, che vivo nei confronti del cambio dell’olio del mio scooter come una specie di paura ancestrale di fusione del motore, ho trovato in loro qualcuno da cui poter andare senza ricevere sempre musi lunghi e reprimenda, è il loro lavoro e lo fanno volentieri.
In conclusione ci sono in Volponi molti altri elementi che oggi non ho toccato, ma devo concludere dicendo che rimangono in lui, quando ci si approccia ai suoi romanzi o alle sue poesie, degli elementi misteriosi, ma direi di più, sembra che sia qualcuno che ha capito qualcosa della vita, che ha lambito una verità. Ha qualcosa che ci lascia un dubbio, un dubbio che è fecondo, e sebbene a tratti sia anche depressivo e sconsolante, come lo è la vita, sembra mettere sul piatto della bilancia, nel suo peso complessivo, qualcosa che fa pendere la vita verso un lato positivo. Non so dirlo meglio, ma è in conclusione questa la cosa più significativa che ho capito leggendo Volponi. C’è qualcosa di quel ragazzo predestinato, che alterna ombra e fulgore, che continua ad agitarsi in lui, una forza rinnovatrice, in quel suo modo d’essere specifico, antiaccademico, che non si trova bene a scuola, ma che ha una visione sua, terribilmente sua e unica, libera, forse potremmo dire “vitale”, innamorata di quello che vede, degli alberi, degli uccelli, delle donne, ma anche del rumore delle auto e della vita che scorre, e che mi ha convinto, in conclusione davvero, di provare a raccontarvi insieme a lui, di quei due benzinai brasiliani, che forse in questo momento, accolgono qualche automobilista con un sorriso e il loro accento esotico e musicale.
Grazie
23.09.2024